È già un cult su Twitter, come era facilmente prevedibile, ma il nuovo talent show condotto da Costantino della Gherardesca su Real Time e dedicato ai parrucchieri amatoriali è molto più di quello che sembra. Un format basato su uno degli argomenti più futili e leggeri in assoluto, che nasconde elementi di novità nella narrazione televisiva tutti da gustare.
Costantino lo aveva presentato come un “talent per freak”, e le attese non sono andate deluse. Tra i nove partecipanti, infatti, non mancano alcune persone che definire ‘casi psichiatrici’ non sembra troppo azzardato: il giovane che prende le gocce per tenere a bada l’ansia, l’avvocato che di notte pettina la sua poupette, la ventinovenne calabrese che da piccola era dislessica e veniva rasata a zero dalla madre. È molto più che un talent per “shampisti”, ma come ogni salone di parrucchiere che si rispetti è un mix di varia umanità che si confronta, si confida, si rilassa tra un carré e un ciuffo alto quindici centimetri. E anche una semplice battuta di Costantino con un concorrente che fa uso di ansiolitici (“Bravo, ad ‘Hair’ siamo a favore della scienza!”), diventa un messaggio (che ognuno può ritenere giusto o sbagliato) che il conduttore affida a chi lo sta guardando.
Costantino si muove tra forbici e forcine con la consueta naturalezza. È ormai padrone del mezzo televisivo, e questa non è una sorpresa, e con ‘Hair’ ha fiutato l’occasione di allargare un po’ i limiti narrativi ed espressivi che un canale come RaiDue impone anche a uno spirito libero come lui.
Il solito cinico dal cuore d’oro, che però stavolta deve cedere lo scettro di stronzi del format ai due giudici Charity Cheah e Adalberto Vanoni, guru del capello e forse, almeno nella prima puntata andata in onda ieri sera, gli unici punti deboli del programma. Costantino della Gherardesca, in pratica, è conduttore e giudice insieme, con i suoi commenti bastardi che precedono (e fagocitano) quelli dei giudici supercool.
La quota rainbow è massiccia (ma anche questo era prevedibile). Più che un programma televisivo, ‘Hair’ è una distopia orwelliana che ci fa capire cosa sarebbe il mondo senza maschi eterosessuali. Scherzi a parte, anche su questo fronte Costantino era stato chiaro: ha scelto personalmente i concorrenti gay, tentando di ignorare il modello dominante nella comunità LGBT italiana dei nostri tempi.
Nel packaging del programma si nota il tocco di Magnolia, con uno sforzo produttivo che su Real Time non è inedito ma quasi. E anche dal punto di vista autorale ‘Hair’ funziona.
Alternare la “frivolezza” di una sfida di taglio ai racconti di vita vissuta dei concorrenti è una sapiente miscela di alto e basso che alla fine equilibra il gusto dello spettatore. Non c’è troppo dramma, non c’è troppo vuoto pneumatico. È semplicemente un prodotto televisivo piacevole, che intrattiene senza troppe pretese ma non per questo lascia i telespettatori con un pugno di mosche in mano. C’è tutto, ed è ben dosato. Merito del format della BBC, innanzitutto, ma anche di Costantino e del resto del gruppo di lavoro che hanno modificato e un po’ stravolto il programma britannico per adattarlo alle caratteristiche del conduttore e osare un po’ di più in una realtà come Real Time che si presta a sperimentazioni e rischi arditi.