Il costo sociale della “cattura” dei media
Secondo la recente proposta di riforma della Rai avanzata da Matteo Renzi, il consiglio d’amministrazione dell’azienda sarebbe eletto dal Parlamento, mentre il direttore generale sarebbe nominato direttamente dal governo (e poi ratificato dallo stesso Cda). Il consiglio di sorveglianza, infine, continuerebbe a esistere, ma senza poteri diretti. Nelle intenzioni dell’esecutivo questo tipo di riforma dovrebbe contribuire a “spalancare la Rai e permetterle di competere a livello internazionale.”
Non c’è dubbio che la Rai vada riformata, se non altro per ridurre i notevoli sprechi che ne caratterizzano il funzionamento. C’è da chiedersi, tuttavia, se quella tracciata dal governo sia la via migliore per farlo.
La prima ovvia considerazione è che la Rai non è un’azienda qualsiasi. Nessun’altra azienda, infatti, è finanziata da un canone obbligatorio di 113,50 euro dovuto da chiunque possieda un apparecchio radiotelevisivo. L’imposta è motivata dal fatto che la Rai offre un servizio pubblico di informazione ed educazione. Ed è proprio rispetto a questa missione che ci si dovrebbe chiedere quale sia la migliore forma di governance per la Rai.
I cittadini usano i mezzi di comunicazione per informarsi sulle questioni politiche, per formarsi un’opinione sull’operato del governo e, in ultimo, per decidere per chi votare alle elezioni successive. È dunque ragionevole pensare che il governo abbia interesse a condizionare i mezzi di comunicazione affinché questi lo rappresentino in modo positivo. E in effetti quello della “cattura” dei media da parte del potere politico è un fenomeno che è stato ampiamente documentato nella letteratura.
Sebbene anche i media privati possano subire pressioni politiche, quelli di proprietà pubblica sono naturalmente più vulnerabili al condizionamento governativo. Uno studio dalla Banca Mondiale in 97 paesi mostra che, controllando per altri fattori, laddove un’alta percentuale dei media è di proprietà statale i giornalisti sono meno indipendenti e l’azione di governo meno efficace e trasparente. Non certo un risultato sorprendente visto che, nella maggior parte di questi paesi, il governo esercita un controllo diretto sui media pubblici e può quindi nominare direttori di parte, confermare quelli che “si comportano bene”, e licenziare quelli scomodi.
Il modello Bbc
Ci sono, ovviamente, delle eccezioni. Alcuni paesi hanno un servizio pubblico indipendente che produce giornalismo di prim’ordine e non ha timore di andare contro il governo. L’esempio più eminente è probabilmente quello della Bbc. Dato che il servizio pubblico britannico è anche un successo commerciale che vende programmi in tutto il mondo, viene da chiedersi perché mai la Rai non adotti il modello di governance della Bbc.
Questo modello è caratterizzato da una netta separazione tra il governo e gli organi che gestiscono il servizio televisivo. Il governo (formalmente la regina) nomina il trust della Bbc che si compone di dieci membri nessuno dei quali, tuttavia, interviene direttamente nella gestione. I membri del trust, che ricevono una remunerazione contenuta, sono tipicamente personalità di alto rilievo del mondo della cultura e dell’economia e, di solito, con un’esperienza nel settore dei media. Il trust dispone di una settantina di dipendenti, impegnati principalmente nel monitoraggio della Bbc. Oltre a elaborare gli obiettivi generali dell’azienda e a valutarne i risultati, il trust ha la responsabilità di nominare il direttore generale e la maggioranza dei membri del comitato esecutivo. Questa separazione garantisce che, qualsiasi governo inglese che tentasse d’influenzare la linea editoriale della Bbc si troverebbe in una posizione molto debole. Un tale sistema di governance a due livelli presenta numerosi vantaggi e costi aggiuntivi molto limitati. Il bilancio annuale del trust della Bbc ammonta a circa 10 milioni di sterline, pari allo 0,2 per cento del bilancio totale dell’azienda.
A giudicare dalle dichiarazioni del nostro governo sembra che il nuovo modello di governance della Rai vada esattamente nella direzione opposta. La nomina del direttore generale, infatti, verrebbe a creare un legame forte e diretto tra il governo e la gestione del servizio pubblico, un assetto che ridurrebbe la già limitata indipendenza della Rai dalla politica.
Il pluralismo Rai
Sebbene molti aspetti del servizio pubblico televisivo italiano siano criticabili, è importante ricordare che, seppur in un marcato contesto di lottizzazione politica, il sistema attuale ha garantito un certo livello di pluralismo nell’ambito delle tre reti Rai. In effetti, come documentato, la presenza di un telegiornale di centro-destra (Tg2) e di uno di centro-sinistra (Tg3) ha consentito ai telespettatori di sfuggire alle oscillazioni ideologiche del Tg1 – sempre allineato con la maggioranza di turno – cambiando canale. Una possibilità, questa, che ha contribuito a limitare l’impatto della propaganda governativa sul pubblico rispetto al caso ipotetico in cui il governo controlli tutti e tre i canali Rai.
Per concludere, la governance della Rai può e deve essere migliorata. Ogni serio tentativo di riforma, tuttavia, non può prescindere dalla necessità di garantire, da un lato, la totale indipendenza del management, dei direttori e dei giornalisti dal potere politico e, dall’altro, la rappresentanza più ampia e imparziale d’idee e punti di vista. Dato che esiste un modello di governance, quello della Bbc, che da decenni garantisce i due obiettivi, perché non adottarlo anche da noi?
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Media & Regime - 30 Marzo 2015
Riforma Rai, perché non adottare il modello Bbc?
Nella Rai riformata, il direttore generale potrebbe essere nominato direttamente dal governo, rafforzando così il legame tra tv pubblica e potere politico. Invece, si dovrebbe fare l’esatto opposto. E il modello è la Bbc, che da anni garantisce al servizio pubblico autonomia, pluralismo e qualità.
di Ruben Durante (Fonte: lavoce.info)
Il costo sociale della “cattura” dei media
Secondo la recente proposta di riforma della Rai avanzata da Matteo Renzi, il consiglio d’amministrazione dell’azienda sarebbe eletto dal Parlamento, mentre il direttore generale sarebbe nominato direttamente dal governo (e poi ratificato dallo stesso Cda). Il consiglio di sorveglianza, infine, continuerebbe a esistere, ma senza poteri diretti. Nelle intenzioni dell’esecutivo questo tipo di riforma dovrebbe contribuire a “spalancare la Rai e permetterle di competere a livello internazionale.”
Non c’è dubbio che la Rai vada riformata, se non altro per ridurre i notevoli sprechi che ne caratterizzano il funzionamento. C’è da chiedersi, tuttavia, se quella tracciata dal governo sia la via migliore per farlo.
La prima ovvia considerazione è che la Rai non è un’azienda qualsiasi. Nessun’altra azienda, infatti, è finanziata da un canone obbligatorio di 113,50 euro dovuto da chiunque possieda un apparecchio radiotelevisivo. L’imposta è motivata dal fatto che la Rai offre un servizio pubblico di informazione ed educazione. Ed è proprio rispetto a questa missione che ci si dovrebbe chiedere quale sia la migliore forma di governance per la Rai.
I cittadini usano i mezzi di comunicazione per informarsi sulle questioni politiche, per formarsi un’opinione sull’operato del governo e, in ultimo, per decidere per chi votare alle elezioni successive. È dunque ragionevole pensare che il governo abbia interesse a condizionare i mezzi di comunicazione affinché questi lo rappresentino in modo positivo. E in effetti quello della “cattura” dei media da parte del potere politico è un fenomeno che è stato ampiamente documentato nella letteratura.
Sebbene anche i media privati possano subire pressioni politiche, quelli di proprietà pubblica sono naturalmente più vulnerabili al condizionamento governativo. Uno studio dalla Banca Mondiale in 97 paesi mostra che, controllando per altri fattori, laddove un’alta percentuale dei media è di proprietà statale i giornalisti sono meno indipendenti e l’azione di governo meno efficace e trasparente. Non certo un risultato sorprendente visto che, nella maggior parte di questi paesi, il governo esercita un controllo diretto sui media pubblici e può quindi nominare direttori di parte, confermare quelli che “si comportano bene”, e licenziare quelli scomodi.
Il modello Bbc
Ci sono, ovviamente, delle eccezioni. Alcuni paesi hanno un servizio pubblico indipendente che produce giornalismo di prim’ordine e non ha timore di andare contro il governo. L’esempio più eminente è probabilmente quello della Bbc. Dato che il servizio pubblico britannico è anche un successo commerciale che vende programmi in tutto il mondo, viene da chiedersi perché mai la Rai non adotti il modello di governance della Bbc.
Questo modello è caratterizzato da una netta separazione tra il governo e gli organi che gestiscono il servizio televisivo. Il governo (formalmente la regina) nomina il trust della Bbc che si compone di dieci membri nessuno dei quali, tuttavia, interviene direttamente nella gestione. I membri del trust, che ricevono una remunerazione contenuta, sono tipicamente personalità di alto rilievo del mondo della cultura e dell’economia e, di solito, con un’esperienza nel settore dei media. Il trust dispone di una settantina di dipendenti, impegnati principalmente nel monitoraggio della Bbc. Oltre a elaborare gli obiettivi generali dell’azienda e a valutarne i risultati, il trust ha la responsabilità di nominare il direttore generale e la maggioranza dei membri del comitato esecutivo. Questa separazione garantisce che, qualsiasi governo inglese che tentasse d’influenzare la linea editoriale della Bbc si troverebbe in una posizione molto debole. Un tale sistema di governance a due livelli presenta numerosi vantaggi e costi aggiuntivi molto limitati. Il bilancio annuale del trust della Bbc ammonta a circa 10 milioni di sterline, pari allo 0,2 per cento del bilancio totale dell’azienda.
A giudicare dalle dichiarazioni del nostro governo sembra che il nuovo modello di governance della Rai vada esattamente nella direzione opposta. La nomina del direttore generale, infatti, verrebbe a creare un legame forte e diretto tra il governo e la gestione del servizio pubblico, un assetto che ridurrebbe la già limitata indipendenza della Rai dalla politica.
Il pluralismo Rai
Sebbene molti aspetti del servizio pubblico televisivo italiano siano criticabili, è importante ricordare che, seppur in un marcato contesto di lottizzazione politica, il sistema attuale ha garantito un certo livello di pluralismo nell’ambito delle tre reti Rai. In effetti, come documentato, la presenza di un telegiornale di centro-destra (Tg2) e di uno di centro-sinistra (Tg3) ha consentito ai telespettatori di sfuggire alle oscillazioni ideologiche del Tg1 – sempre allineato con la maggioranza di turno – cambiando canale. Una possibilità, questa, che ha contribuito a limitare l’impatto della propaganda governativa sul pubblico rispetto al caso ipotetico in cui il governo controlli tutti e tre i canali Rai.
Per concludere, la governance della Rai può e deve essere migliorata. Ogni serio tentativo di riforma, tuttavia, non può prescindere dalla necessità di garantire, da un lato, la totale indipendenza del management, dei direttori e dei giornalisti dal potere politico e, dall’altro, la rappresentanza più ampia e imparziale d’idee e punti di vista. Dato che esiste un modello di governance, quello della Bbc, che da decenni garantisce i due obiettivi, perché non adottarlo anche da noi?
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Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Il Milleproroghe è un provvedimento routinario, in teoria nell'esame tutto doveva andare liscio. Invece l'iter di questo provvedimento è stato un disastro, la maggioranza l'ha gestito in modo circense, dando prova di dilettantismo sconcertante". Lo ha detto la senatrice Alessandra Maiorino, vice presidente del gruppo M5S al Senato, nella dichiarazione di voto sul Milleproroghe.
"Già con l'arrivo degli emendamenti abbiamo visto il panico nel centrodestra. Poi è arrivata la serie di emendamenti dei relatori, o meglio del governo sotto mentite spoglie, a partire da quelli celebri sulla rottamazione delle cartelle. Ovviamente l'unica preoccupazione della maggioranza, a fronte di 100 miliardi di cartelle non pagate, è stata solo quella di aiutare chi non paga. Esattamente come hanno fatto a favore dei no vax, sbeffeggiando chi sotto il Covid ha rispettato le regole. In corso d'opera abbiamo capito che l'idea di mettere tre relatori, uno per ogni partito di maggioranza, serviva a consentire loro di marcarsi a vicenda, di bloccare gli uni gli sgambetti degli altri. Uno scenario surreale! Finale della farsa poi è stato il voto di un emendamento di maggioranza ignoto ai relatori e una ignobile gazzarra notturna scoppiata tra i partiti di maggioranza. Non avevamo mai visto tanto dilettantismo in Parlamento".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Il decreto Milleproroghe rappresenta una sfida importante, un provvedimento cui abbiamo dato un significato politico, un’anima. L’azione di questo governo punta a mettere in campo riforme e norme strutturali ma esistono anche pilastri meno visibili che hanno comunque l’obiettivo finale della crescita delle imprese e della nostra economia, di sostenere il sistema Italia nel suo complesso. Ecco perché col decreto Milleproroghe abbiamo provveduto ad estendere o a sospendere l’efficacia di alcuni provvedimenti con lo scopo di semplificare e rendere più snella la nostra burocrazia, sempre con l’obiettivo dichiarato della crescita. Fra questi norme sulle Forze dell’ordine e sui Vigili del Fuoco, sostegno ai Comuni e all’edilizia, nel campo sociale e sanitario come in quello dell’industria e della pesca e sul contrasto all’evasione fiscale. Più di 300 emendamenti approvati, tra cui anche quelli dell’opposizione, al fine di perseguire, con questo esecutivo, la finalità di fornire alla nostra Nazione gli strumenti per crescere e per questo il voto di Fratelli d’Italia è convintamente a favore”. Lo dichiara in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Dico al ministro Crosetto che l’aumento delle spese per armamenti, addirittura fino al 3%, ruba il futuro ai nostri figli. Ruba risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti. L’aumento delle spese per le armi non ci renderà più sicuri, ma alimenterà conflitti e guerre, come la storia dimostra”. Così Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde, in merito alle dichiarazioni di Crosetto sull'aumento delle spese militari.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Il problema della situazione carceraria nel Paese è un problema che ogni giorno ci tocca da vicino, stiamo gia' predisponendo le dovute soluzioni. Abbiamo gia' definito il piano carceri e il commissario straordinario". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Criticità nel disegno di legge costituzionale non ve ne sono tali da alterare il testo, ma sarà seguito da una serie di leggi ordinarie. Per esempio, manca nella disegno di legge costituzionale la riserva per le quote cosiddette rosa, ma questo lo metteremo nelle leggi di attuazione che saranno leggi ordinarie. Anche il sistema del sorteggio potrà essere meglio definito. Ma una cosa e' certa: questa legge costituzionale non si modifica". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo, parlando delle dichiarazioni del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che ieri, aveva parlato dei "punti di criticità della riforma del Csm" sui quali si e' appuntata anche l'attenzione della Commissione Ue, aveva sottolineato la necessita' di "un'approfondita riflessione.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi in Turchia, parlando con il mio omologo, il ministro di giustizia turco, quando ho detto che probabilmente i magistrati italiani faranno uno sciopero, lui è rimasto sorpreso e mi ha domandato 'ma è legale?'. Se i magistrati vogliono fare lo sciopero che lo facciano, ma quello che è certo e che, senza alcun dubbio, noi andremo avanti perché e' un nostro impegno verso gli elettori". Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in vdieocollegamento di ritorno dalla Turchia alla Giornata dell'orgoglio dell'appartenenza degli avvocati a Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - La separazione delle carriere dei magistrati "è un dovere verso elettorato perché lo avevamo promesso nel nostro programma e questo faremo. Il nostro e' un vincolo politico verso l'elettorato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento, di ritorno dalla Turchia, alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. "Io sto girando un po' dappertutto per redigere protocolli - ha proseguito il ministro -, e ogni qualvolta parliamo di separazione carriere ci guardano con un occhio perplesso perché in tutti gli ordinamenti del mondo questo è normale".