Come mai accaduto nella storia dell’umanità, la scienza influenza fortemente la società; e viceversa. In campo ambientale, la scienza suscita oggi nella società dilemmi e dispute su temi fondamentali come i cambiamenti climatici, il controllo meteorologico, lo sviluppo sostenibile e la prevenzione dalle catastrofi naturali. Per contro, le decisioni sullo sviluppo della scienza sono ormai prese, sempre più spesso, dagli organismi che rappresentano la società. Se vogliono sviluppare la loro attività scientifica, gli scienziati non possono quindi fare a meno di tessere i rapporti con il resto della società. E, parallelamente, i prodotti della scienza entrano sempre di più a fare parte della vita quotidiana dei cittadini, talora in modo pervasivo.
Senza dubbio la scienza favorisce il benessere dell’umanità, come aveva intuito Francesco Bacone quattro secoli fa: «La sovranità dell’uomo è nella scienza.» Tuttavia, egli aveva anche capito che «il sapere è uguale al potere.» La scienza è con noi e dentro di noi e, nello stesso tempo, è diventata il motore primo della competizione economica nell’età del neo-liberismo e il fulcro della supremazia militare di alcune parti del mondo su altre. In questo contesto, la lobby climatica ha ormai acquisito a livello europeo e statunitense un ampio riconoscimento, dopo le giuste battaglie degli anni ’90 per superare il negazionismo e lo scetticismo. E per questo motivo, se si parla di scienza in modo concreto, oggi si parla solo di soldi. Da entrambe le parti.
Il modo scientifico e, in particolare, quello che si occupa di ambiente, risorse e catastrofi naturali troppo spesso dà l’impressione di preoccuparsi soprattutto di ottenere sempre maggiori finanziamenti per la ricerca. Questa palese auto–referenzialità comporta alcuni rischi, sia per la comunità scientifica, sia per la società. Da un lato, si semina la certezza che, con un congruo finanziamento, qualunque obiettivo scientifico sia raggiungibile; e non è vero. Dall’altro, come scrive William Hooke su Eos, il contratto sociale che gli scienziati propongono suona così: «Stiamo documentando il fallimento dell’umanità. Ma, negli ultimi tempi, la velocità, la complessità, e la dimensione di questo fallimento sono cresciute enormemente, tanto nel gestire le risorse naturali, quanto nel governare la protezione ambientale e la mitigazione delle catastrofi. Se noi scienziati dobbiamo tenere il passo nel documentare questo ‘vostro’ fallimento, abbiamo bisogno di più fondi.» Insomma, la scienza propone alla società scarse soluzioni e poca innovazione nelle sue risposte. E semina molto terrore, invece, nelle sue domande.
L’Italia è poi un caso a parte. Gli scienziati italiani possono pure chiedere molto alla nostra società, assai impermeabile ai moniti ambientali: ben poco gli verrà comunque dato. E bisognerebbe poi riflettere sulla distribuzione delle misere risorse che, nel nostro paese, la società riserva alla scienza, in campo ambientale e non. Fino a venti anni fa, esse venivano distribuite a pioggia e l’Italia era ben piazzata nel panorama scientifico mondiale. Da parecchio tempo sono invece date secondo regole meritocratiche, che non sempre favoriscono le persone migliori e le idee più innovative, quando non duplicano o triplicano progetti commoventi per quanto sono insulsi. E siamo ancora ben piazzati soprattutto in virtù dei nostri giovani emigrati. Francesco Bacone scrisse nei suoi saggi (Of Seditions and Troubles, 1625) che «Il denaro è come il letame: non serve se non è sparso.» Aveva ragione.