Gli imputati erano stati assolti in primo grado, nel 2013 dalle accuse di associazione per delinquere, concussione, corruzione, peculato, abuso e falso per appalti al Comune mentre per alcuni altri vi era stata la prescrizione
La Corte d’Appello dell’Aquila ha confermato la sentenza di assoluzione in primo grado per il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, e altri 17 imputati nel processo “Housework” per tangenti in appalti al Comune di Pescara, fatti relativi al periodo in cui il governatore era sindaco del capoluogo adriatico.
“Ringrazio la magistratura per aver sottoposto a scrupolosa validazione e approvato il mio operato da sindaco di Pescara. Resta il rammarico per l’interruzione di un percorso amministrativo riconosciuto a tutti i livelli e che stava dando frutti preziosi per la città” dice D’Alfonso.
D’Alfonso, attuale governatore della Regione Abruzzo all’epoca dei fatti era sindaco della città di Pescara finito in carcere nel 2008. Dopo l’ultima arringa difensiva dell’avvocato Augusto La Morgia, difensore di degli imprenditori Alfonso e Carlo Toto, i giudici sono entrati in camera di consiglio. Gli imputati erano stati assolti in primo grado, nel 2013 dalle accuse di associazione per delinquere, concussione, corruzione, peculato, abuso e falso per appalti al Comune mentre per alcuni altri vi è stata la prescrizione. Contro l’assoluzione aveva proposto appello il Pm titolare dell’inchiesta Gennaro Varrone.
Luciano D’Alfonso non è mai “finito in carcere nel 2008” per il processo “Housework”, avendo subito la misura degli arresti domiciliari e non ha mai ricoperto, prima di essere candidato dal PD alla carica di presidente della regione Abruzzo, la carica di “assessore regionale per il partito di centrodestra”.