Donne

A testa altra, quattro autrici raccontano il percorso di ‘lesbiche liberate’: dai fidanzati agli antidepressivi

Michela Pagarini, Lidia Borghi, Paola Guazzo, Manuela Menolascina firmano un libro che affronta tematiche taciute, ancora tabù, e che rompe gli stereotipi che circondano l'omosessualità femminile: “Mi piacciono le donne e da sempre le ho amate, cercate, desiderate – scrive un'autrice - Chi dice che una donna che desidera un'altra donna cerca la figura materna assente si sbaglia"

di Stefania Prandi

L’incertezza dell’adolescenza, i primi amori, le passioni esplosive, le sedute di psicoterapia, gli antidepressivi, le famiglie che ripetono che “prima o poi passerà”. E ancora: i fidanzati per salvare il quieto vivere, i coming out, la difficoltà di trovare un lavoro, l’attivismo, le amicizie più importanti dei legami di sangue. Infine, la consapevolezza e l’orgoglio di dirsi lesbiche. C’è tutto questo in A testa altra, ebook scritto da Michela Pagarini, Lidia Borghi, Paola Guazzo, Manuela Menolascina, quattro autrici con età e storie diverse, accomunate dalla voglia di raccontare il proprio percorso di “lesbiche liberate”, come si definiscono. Un libro che affronta tematiche taciute, ancora tabù, e che rompe gli stereotipi che circondano l’omosessualità femminile. “Una volta, durante un incontro in classe dove ero andata come testimonial per un progetto anti omofobia, una studentessa mi chiese se io non avessi mai pensato al suicidio. La risposta sottintesa era sì, ma non perché io fossi lesbica, come immaginava lei; ci ho pensato, quando volevano costringermi all’eterosessualità. Essere lesbica, al contrario, mi ha salvato la vita, perché è il punto più alto di verità su di me che conosco”, scrive Michela Pagarini, 38enne, esperta di comunicazione, social media, editoria tecnica e attivista per i diritti delle donne.

La vita delle lesbiche è difficile non a causa dell’omosessualità, ma per colpa di una società intollerante, viene ribadito più volte nelle pagine di A testa altra. Nel testo non c’è spazio per il vittimismo: con ironia e leggerezza le autrici indugiano sul piacere mentale e fisico che provano le donne che amano altre donne. “Mi piacciono le donne e da sempre le ho amate, cercate, desiderate – scrive Manuela Menolascina, trentenne, ricercatrice universitaria e militante di Arcilesbica. – Chi dice che una donna che desidera un’altra donna cerca la figura materna assente si sbaglia. La mamma ce l’ho, mi vuole bene e le voglio bene, ed è sempre stata presente nella mia vita. Niente di patologico, zero morbosità”. Menolascina racconta della sua infanzia serena, del primo bacio con una ragazzina “dai capelli biondissimi e odorosi di fragola” in un campo estivo gestito da suore durante il quale avrebbe dovuto apprendere “le arti sublimi come il ricamo, il punto croce e altre utilissime astuzie domestiche”. E ancora, gli amori giovanili, la sorella che le dice “dai, sarà solo una cosa provvisoria, poi adesso fare la lesbica è di gran moda”, la delusione e il dolore per un grande amore finito male.

Tra le questioni affrontate c’è anche quella della maternità, che prende forma attraverso le parole di Lidia Borghi, cinquantenne, storica e critica d’arte, docente all’Accademia di Belle Arti di Frosinone, autrice di libri e saggi. “Nel momento in cui tu ti innamori della persona giusta, il primo desiderio, quello più urgente, ha a che fare con la volontà di donarle una creatura. In passato consideravo una vera tortura, per una femmina lesbica, il fatto di non poter fecondare la donna amata ma, con il trascorrere del tempo, ho capito che mi stavo infilando con le mie mani in una pericolosa gabbia mentale e, così, ho cominciato a fantasticare di una possibile gravidanza; quando, dalla fantasia, sono passata alla pianificazione, tutto si è fatto chiaro in me, dandomi la possibilità di pensare che, un giorno, anche io avrei potuto diventare madre”.

Alle vicende personali, si accompagnano le riflessioni più generali sul lesbismo – con citazioni e suggestioni di teoriche come Monique Wittig e Julia Kristeva – di Paola Guazzo, classe 1964, autrice di saggi, romanzi e pubblicazioni internazionali sul movimento lesbico. Guazzo dice che, durante una recente presentazione del libro, “in mezzo alla folla, una migrante cinquantenne – evidentemente toccata da qualcosa che riguardava anche lei – si è commossa e ha pianto”. Ed è con questi episodi, spiega l’autrice, che si dimostra l’importanza di un testo come A testa altra: “noi lottiamo perché le lesbiche che vivono nel nostro paese possano trovare luoghi e relazioni in cui dirsi”.

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