Dopo l'aut aut di Roma, i vertici siciliani del partito fanno dietrofront, pronti a dimenticare il risultato delle primarie e a revocare la candidatura dell'uomo di Forza Italia a sindaco della città dei templi. L'obiettivo: mandare in campo l'ex governatore e vice ministro con Romano Prodi per mettere a tacere le polemiche. A Enna, invece, Crisafulli resta l'uomo forte dei dem
Dimenticare le primarie, mantenere le alleanze con i partiti della coalizione e candidare l’ex governatore e vice ministro Angelo Capodicasa come sindaco di Agrigento. È questa l’exit strategy del Pd siciliano, travolto dalle polemiche dopo che Silvio Alessi, vicino a Forza Italia, era riuscito a vincere le primarie per scegliere il candidato sindaco della città dei Templi. Una vicenda a metà tra la tragedia e la farsa, con i vertici siciliani del Pd che prima hanno siglato l’accordo con Riccardo Gallo, numero due di Forza Italia sull’Isola, condotto a Montecitorio da Marcello Dell’Utri, poi hanno riconosciuto la vittoria di Alessi, quindi sono stati costretti a fare marcia indietro dopo gli aut aut di Roma.
Pesantissime le parole del vice segretario nazionale Debora Serracchiani dopo la vittoria di Alessi, inciampato nel frattempo in una pericolosa gaffe sull’inesistenza della mafia ad Agrigento, subito bissata da un’incauta considerazione: “Questa non è una coalizione di centro sinistra” aveva detto, scatenando le ire di tutta la catena di comando democratica. “Alessi non rappresenta la nostra gente: il Pd sconfessa le primarie”, era stato quindi l’annuncio che il segretario siciliano Fausto Raciti si è trovato costretto a lanciare in conferenza stampa. “Ma come fanno ad annullare le primarie se non ci sono stati brogli? Non lo sapevano da prima che c’era Forza Italia alle primarie?”, si chiede ironico il deputato dem Giovanni Panepinto.
Quesito al quale i vertici del Pd non hanno risposto, preferendo piuttosto rinnovare la fiducia ad Alessi, un attimo dopo aver annunciato la nullità delle primarie. “Alessi è un uomo perbene e un serio imprenditore che grazie al suo impegno professionale e nel mondo dello sport riesce ad incarnare i valori della coalizione”, è l’attestato di stima diffuso dai dirigenti democratici alla fine di una lunga riunione nel capoluogo agrigentino domenica sera. Una dichiarazione che sembra più che altro l’ennesimo atto della tragicomica recita andata in onda nella Valle dei Templi, con l’unico obbiettivo di mantenere le alleanze con i vari ràs delle preferenze seduti al tavolo della coalizione agrigentina. Come dire che la candidatura di Alessi (indicato dagli elettori con il 52% dei voti) continua a squagliarsi come neve al sole.
Il diretto interessato è un uomo di Michele Cimino, l’ex gemello di Angelino Alfano, ma paga soprattutto la sua vicinanza a Gallo e Forza Italia: in pratica la sintesi umana del “papocchio” ibrido delle alleanze andato in onda ad Agrigento. “Tutti quelli che hanno votato Renzi erano stati elettori del Pd? Ovviamente no”, è l’autodifesa che il vincitore delle primarie più controverse degli ultimi anni ha affidato ad una lettera indirizzata direttamente al presidente del Consiglio. I passi indietro del Pd, conditi dagli attestati di stima, hanno però amareggiato lo stesso Alessi, diventato in poche ore un caso nazionale, ed oggi pronto a sua volta a farsi da parte. “Si è creato un clima troppo avvelenato: ho bisogno di riflettere”, dice lasciando aperto lo spiraglio del ritiro.
In quel caso, il Pd riuscirebbe a imporre la candidatura di Capodicasa, primo presidente della Regione proveniente dal centro sinistra (suo assessore all’agricoltura era Totò Cuffaro), vice ministro con Romano Prodi, oggi deputato nazionale. Una candidatura che salverebbe la coalizione agrigentina, ma che manderebbe in frantumi la credibilità dei dirigenti siciliani del Pd, costretti a rimangiarsi la parola dopo gli ordini provenienti da Roma. Tra l’altro la candidatura di Capodicasa è un rebus: l’ex presidente non si misura con le preferenze da anni, e nel 2013 era finito davanti la commissione di garanzia del Pd, accusato di essere “impresentabile” insieme a Nino Papania, Mirello Crisafulli e Francantonio Genovese. Alla fine le dichiarazioni del pentito Maurizio Di Gati sul suo conto non avevano trovato riscontro alcuno, e Capodicasa era riuscito a salvare il seggio alla Camera.
Di segno opposto il destino di Crisafulli, cancellato dalle liste nel 2013, e oggi prepotentemente tornato sulla scena come candidato sindaco a Enna. Dal Nazareno avevano fatto sapere di non gradire il ritorno dell’ex impresentabile, messo alla berlina dalla Leopolda di Renzi, poi ripescato come segretario del Pd ennese e quindi corteggiato fino a pochi giorni fa come candidato sindaco dai vertici siciliani del partito. “Credo che Crisafulli sia sufficientemente maturo ed esperto per prendere una decisione in maniera autonoma”, è il commento del segretario Raciti. Crisafulli quindi ha fatto leva sulla sua maturità per prendere la dolorosa decisione e accettare l’investitura del Pd ennese che lo ha designato (chiaramente all’unanimità) come candidato alle primarie del 19 aprile prossimo: un turno elettorale che promette percentuali bulgare per il candidato inviso al Nazareno, oggi diventato all’improvviso un descamisados anti renziano.