“Riteniamo di chiedere alla Prefettura e al Comitato per la sicurezza di rivalutare la possibilità di nominare una commissione d’accesso per il Comune di Verona“. Lo ha affermato Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, nel corso della conferenza stampa nella prefettura della città scaligera che chiude la visita della Commissione in Veneto. La città amministrata dal leghista Flavio Tosi “è un punto di fragiltà nella Regione dal punto di vista delle infiltrazioni” della criminalità organizzata, ha sostenuto Bindi. Il primo cittadini reagisce a muso duro: “Affermazioni strampalate da campagna elettorale”.

La commissione prefettizia di accesso è il primo passo che può portare allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Ha il compito di esaminare gli atti, valutare eventuali condizionamenti criminali e, in caso affermativo, inviare una relazione al governo che poi decide sullo scioglimento. Sarebbe il primo caso in Veneto, e clamoroso, data l’importanza della città amministrata dalla Lega (al netto della recente espulsione del primo cittadino dal movimento di Salvini). Alla base del possibile provvedimento, la recente inchiesta della procura di Bologna sulla famiglia Grande Aracri ha rilevato i forti interessi della cosca negli affari urbanistici veronesi che hanno portato un loro esponente ad incontrare, almeno in due occasioni, il sindaco Tosi e il vicesindaco Vito Giacino (poi arrestato e condannato in primo grado per concussione).

Il presidente Bindi ha spiegato che la richiesta potrebbe estesa ad “altri Comuni della provincia dove si segnalassero infiltrazioni”. Tornando al capoluogo, ha aggiunto, “sappiamo che il prefetto in passato ha valutato la possibilità di nomina della commissione d’accesso, ma ha valutato che non ci fossero gli elementi”.

“Qualsiasi altra amministrazione comunale nelle condizioni di quella di Verona avrebbe subito la proposta di scioglimento per infiltrazioni mafiose”, ha dichiarato in modo ancora più netto Claudio Fava, vicepresidente della Commissione, anche lui del Pd come Bindi. “A Verona la prefettura ha deciso invece, con grave sottovalutazione, di non procedere nemmeno con la commissione di accesso”.

Così Fava riassume le vicende che dimostrerebbero l’infiltrazione mafiosa nella città veneta: “Un vicesindaco condannato a cinque anni per corruzione, un’impresa collegata a famiglie mafiose calabresi presente nei più importanti appalti gestiti dall’amministrazione comunale, decine di inequivocabili reati spia, rapporti investigativi altrettanto inequivocabili dei Ros di Catanzaro: il rischio di un condizionamento dell’attività amministrativa in questi anni è stato grave ed attuale. Ci preoccupa la superficialità con cui molti di questi elementi sono stati sottovalutati da chi aveva il dovere e gli strumenti per intervenire”, ha concluso.

“Quelle fatte in conferenza stampa dalla presidente della Commissione parlamentare antimafia mi sembrano francamente affermazioni strampalate, che ben si inseriscono nel clima di una campagna elettorale, utili solo a trovare spazio e titoli sui mass media”, è la replica di Tosi. Che ragisce attaccando: “La Commissione presieduta dalla signora Rosy Bindi deve pur simulare una sua qualche utilità che ne giustifichi l’esistenza e la visita in Veneto, ma non pare stia riuscendo nell’impresa”. Tosi ricorda, come del resto ha fatto la stessa Bindi, che la richiesta di accesso agli atti del Comune di Verona era già stata avanzata e respinta un anno fa” al tempo – ha ricordato – “della macchina del fango” partita da una trasmissione televisiva (il riferimento è a Report, ndr). “Né il sottoscritto, né alcun amministratore o dirigente comunale – ha continuato – è indagato per le ipotesi avanzate dalla Bindi e nemmeno l’ex vicesindaco è stato indagato per quel motivo. Quindi la richiesta della Commissione, oltre più che ridicola, è penosa” ha concluso Tosi.

Aggiornato dalla redazione web alle 20,00

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