C'è chi, come Giovanardi, la usa per dire che il problema è "sovradimensionato". O chi, come Passera, la enfatizza nel suo manifesto politico. Eppure è una stima che con il nostro Paese non c'entra nulla. Calcolare il mercato delle tangenti è complicato. Ma dall'analisi dei costi di opere e forniture pubbliche emerge un dato ancora più allarmante
La definizione migliore è di Lucio Picci, professore di Economia dell’Università di Bologna. “I 60 miliardi di costo della corruzione sono come il fantastilione di Paperon de’ Paperoni. Una cifra inventata che serve a indicare una quantità enorme, che non conosciamo”. Tutti l’abbiamo letta o sentita almeno una volta. Da qualche anno la cifra viene ripetuta come una formula magica sui giornali, in tv, nei dibattiti pubblici e persino nelle relazioni istituzionali. Non c’è convegno o talk show in cui qualcuno, con aria di chi la sa lunga, non prenda la parola per dire che in Italia “la corruzione costa 60 miliardi all’anno”. La cifra viene brandita come un’arma sia per denunciare che il nostro Paese è in codice rosso, sia per negare che la corruzione sia un problema così dilagante. Basta dire che il numero è del tutto arbitrario e il gioco è fatto: se la cifra è falsa allora non c’è corruzione. Con buona pace della logica. In ogni caso un numero così prêt-à-porter, di facile uso e senza sfumature non può che nascondere un inganno. Ed infatti si tratta di poco più di una bufala.
IN PRINCIPIO FU LA BANCA MONDIALE. La storia dei 60 miliardi è presto raccontata. E’ un giallo che ha inizio nel 2004. Nell’aprile di quell’anno la World Bank pubblica una ricerca firmata dall’economista Daniel Kaufmann. Vi è scritto che ogni anno l’ammontare delle tangenti pagate nel mondo supera i 1000 miliardi di dollari americani. Una stima calcolata come il 3% dell’economia mondiale e rispetto alla quale Kaufmann avverte: non rappresenta da sola i costi complessivi della corruzione e la situazione varia significativamente da paese a paese. Nonostante le precisazioni però, in Italia qualcuno prende quella stima del 3% e la applica al Pil del Belpaese. Nascono così i “60 miliardi di euro” di costo della corruzione in Italia.
A quel punto inizia un gioco degli equivoci tra Corte dei Conti e SAeT, Servizio Anticorruzione e Trasparenza creato presso il Dipartimento della Funzione Pubblica dopo lo scioglimento dell’Alto commissariato anticorruzione, durante il governo Berlusconi. Lo dirige l’allora Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. Nel primo rapporto al Parlamento, del febbraio 2009, il SAeT riporta la cifra dei 50-60 miliardi di costo della corruzione, specificando che si tratta di stime “senza un modello scientifico” che diventano “opinioni da prendere come tali”. È l’avvio. Da quel momento in poi, nonostante l’avvertenza, la cifra intraprende il suo cammino e inizia lentamente ad invadere il dibattito pubblico. Nel giugno 2009 nella memoria del Procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, si legge che “il fenomeno della corruzione all’interno della P.A. è talmente rilevante” da far temere che il suo impatto superi “le stime effettuate dal SAeT nella misura prossima ai 50/60 miliardi di euro all’anno”.
DA BRUNETTA A BAN KI MOON. I media si appropriano velocemente della cifra. È lo stesso ministro Brunetta nell’ottobre 2010 a citarla in un articolo scritto per il Sole24ore intitolato “Tasse occulte”. Parla di “una stima, più o meno corretta, di 50-60 miliardi l’anno che equivale a una “tassa” di circa 1.000 euro l’anno a testa”. Poco dopo, nel settembre 2010 il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon, nel suo discorso pubblico in occasione dell’inaugurazione dell’Accademia internazionale anticorruzione, rispolvera la stima della World Bank che indica in 1000 miliardi di dollari il costo della corruzione mondiale. È il piede sull’acceleratore: se anche l’origine dei 60 miliardi si perde nella nebbia di rimandi reciproci, a quel punto il numero comincia a vivere di vita propria. Nessuno riesce più a fermarlo. Neppure la stessa SAeT, che nella sua ultima relazione del 2011 rompe gli indugi e parla di “infondatezza della fantasiosa stima di 60 miliardi di euro”.
Potenza di un numero. Nonostante le cautele la cifra finisce persino nelle relazioni della Commissione Europea sulla corruzione. Il documento del 2014 cita la Corte dei conti secondo la quale, dice la Commissione Europea, in Italia “i costi diretti totali della corruzione ammontano a 60 miliardi di euro l’anno (pari a circa il 4% del Pil)”. Con il risultato paradossale di attribuire all’Italia la metà dei costi della corruzione di tutta Europa, calcolata come 1% del Pil e quindi complessivamente in 120 miliardi di euro. Peccato che già nel 2012 la Corte dei conti italiana avesse rilevato questo paradosso e di nuovo, allontanando da sé ogni responsabilità, attribuito al SAeT la stima dei 60 miliardi.
GIOVANARDI: “CORRUZIONE? PROBLEMA SOPRAVVALUTATO”. In ogni caso la cifra è talmente efficace, soprattutto mediaticamente, che nessuno riesce più a farne a meno. Così finisce per albergare a caratteri cubitali su tutte le principali testate nazionali. La utilizza persino la campagna anticorruzione di Libera e Gruppo Abele, Riparte il Futuro, pur consapevole della sua arbitrarietà. Perché quel numero serve ad accendere un campanello d’allarme su un problema reale e troppo a lungo sottovalutato. Vi ricorre persino Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo economico, che certamente ha una certa dimestichezza con stime e numeri ma nel suo recentissimo decalogo anticorruzione scrive: “La corruzione è un cappio che stringe alla gola l’Italia e gli toglie l’ossigeno delle risorse economiche – 60 miliardi di euro sottratti alle finanze pubbliche, secondo la corte dei Conti -”.
Il punto è che l’arbitrarietà della cifra, che da una parte assolve magicamente alla funzione di accendere l’attenzione di spettatori e cittadini, lascia gioco facile anche a chi vorrebbe buttare via l’acqua con tutto il bambino. Così recentemente il senatore Carlo Giovanardi durante la discussione per l’approvazione del Ddl anticorruzione ha potuto citare nuovamente i 60 miliardi di euro, contestandone il fondamento, per sostenere che il fenomeno corruttivo in Italia è “palesemente sovradimensionato”.
IL DATO REALE: DA NOI LE OPERE PUBBLICHE COSTANO DI PIU’. In realtà nessuno sa quanta corruzione ci sia in Italia, né nel resto del mondo, perché è un fenomeno difficilissimo da indagare. Perché, come fa notare il professor Picci che da anni si occupa di metodi per il calcolo della corruzione, “se anche conoscessimo la cifra di tutte le tangenti pagate in un anno, quel numero non rappresenterebbe il costo della corruzione ma solo la punta dell’iceberg, visto che non terrebbe conto di tutte le distorsioni che la corruzione produce”.
In ogni caso che i 60 miliardi siano poco più di una bufala, per gli esperti, non vuol dire affatto che il problema non esista o sia sopravvalutato. Alberto Vannucci, professore di Scienza politica a Pisa e tra i massimi esperti in Italia sul tema pensa anzi che i 60 miliardi siano una stima sballata, ma al ribasso. Perché, ad esempio, prendendo per buoni i calcoli della Corte dei Conti, secondo cui la corruzione genera il 40% di spesa in più nei contratti per opere, forniture e servizi pubblici dello Stato, risulta invece che il costo della corruzione raggiunga una cifra superiore ai 100 miliardi di euro l’anno. “Dal punto di vista logico non abbiamo bisogno di credere ai 60 miliardi per sapere che in Italia esiste un grave problema corruzione” chiosa Picci “i segnali in tal senso sono tanti e diversi. Quella cifra ha solo inquinato il dibattito”. Come a dire che quando si tratta di corruzione, anche i numeri rischiano di essere marci fino al midollo.