Il 31 marzo del 2014, esattamente un anno fa – all’esito di una lunghissima gestazione e di un acceso dibattito al quale prese parte addirittura l’attuale Premier Matteo Renzi, all’epoca non ancora arrivato a Palazzo Chigi, davanti all’assemblea del suo partito – entrava in vigore il c.d. Regolamento Agcom sul diritto d’autore online, varato dall’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni guidata da Angelo Marcello Cardani.

Le nuove regole, che hanno festeggiato ieri il primo compleanno, attribuiscono, nella sostanza, alla stessa Authority che le ha scritte il potere di affiancarsi ai Giudici nell’ordinare la rimozione di contenuti pubblicati online in violazione del diritto d’autore o, nei casi più gravi, di ordinare agli internet service provider italiani il blocco di intere piattaforme ritenute coinvolte nella diffusione “massiva” di contenuti protetti da diritto d’autore.

Il Regolamento Agcom, dopo essere stato impugnato davanti ai Giudici amministrativi, si trova ora all’esame della Consulta alla quale i Giudici del Tar del Lazio hanno chiesto di verificare la legittimità costituzionale delle leggi sulla cui base l’Authority delle Comunicazioni ha ritenuto di varare le nuove norme.

Saranno, dunque, i Giudici della Corte Costituzionale all’esito dell’udienza di discussione fissata per il prossimo 20 ottobre a stabilire se le nuove norme sulla tutela del diritto d’autore online sono o meno compatibili con la costituzione. E’, tuttavia, un fatto incontestabile – quale che sarà la decisione della Consulta – che il Regolamento espone a rischio la libertà di informazione online rendendo possibile il sacrificio di contenuti anche di carattere informativo in nome della tutela dei diritti d’autore al di fuori di ogni controllo giurisdizionale e, soprattutto, comprimendo sensibilmente – sino, nella più parte dei casi ad escluderlo – il diritto del soggetto che ha pubblicato i contenuti ad un giusto processo e, comunque, quello a difendere la legittimità della propria condotta.

Si tratta di un rischio ineliminabile stante la scelta di creare, nella sostanza, un binario parallelo a quello della tutela dei diritti d’autore in sede giurisdizionale, davanti ad un’Autorità amministrativa, in un procedimento sommario ed a contraddittorio ridotto.

Non è più tempo – e, sarebbe, anzi, probabilmente inopportuno – per dirsi convinti della illegittimità costituzionale delle nuove regole o, al contrario, della loro assoluta legittimità giacché, a questo punto, toccherà alla Consulta dire se la velocità delle cose della Rete e la centralità assunta dal diritto d’autore nell’attuale società dell’informazione giustifica forme di deroga tanto importante a principi e garanzie fondamentali in ogni Stato di diritto quali, certamente, sono l’indipendenza di chi scrive le regole e di chi le applica, il diritto ad un giusto processo davanti ad un Giudice naturale, terzo ed indipendente ed il diritto alla difesa di chiunque venga additato come responsabile della violazione di una legge.

C’è, peraltro, anche da dire – e si sarebbe intellettualmente poco onesti se lo si negasse o, anche solo omettesse – che, sin qui, l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha mostrato grande prudenza nell’applicazione delle regole, scongiurando il rischio che la tutela del diritto d’autore sconfinasse di plateali violazioni della libertà di informazione ed ha garantito agli interessati sufficiente trasparenza circa l’attuazione delle regole.

Il primo compleanno di un quadro normativo tanto controverso e che ha visto la luce dopo anni di faticoso e tormentato travaglio è, tuttavia, inevitabilmente un momento di bilanci e riflessione.

E proprio ieri, d’altra parte, l’Authority per le comunicazioni ha diffuso i dati relativi al primo anno di attività, riferendo che – al 27 marzo 2015, ovvero a quattro giorni dal primo compleanno – ha ricevuto 209 istanze di intervento per violazione del diritto d’autore online a tutela, prevalentemente di opere audiovisive [87 casi], fotografiche [49 casi] e musicali [33 casi]. Tali 209 istanze hanno dato vita solo a 134 procedimenti perché negli altri casi o sono state ritirate prima dell’avvio del procedimento [8 casi] o sono state archiviate “in via amministrativa” dagli stessi uffici dell’Authority che le hanno ritenute inammissibili o irricevibili [40 casi] o sono relative a procedimenti tuttora in fase “pre-istruttoria” [4 casi].

Nei 134 procedimenti effettivamente avviati, in settanta occasioni, il soggetto destinatario della comunicazione di avvio del procedimento attraverso la quale l’Authority lo informa della presentazione di un’istanza per la rimozione di uno o più contenuti presenti su un proprio sito, ha ritenuto di adeguarsi spontaneamente alla richiesta del titolare dei diritti – veicolata attraverso l’Autorità – ed ha conseguentemente rimosso i contenuti oggetto di contestazione prima di qualsivoglia provvedimento dell’Agcom e di qualsiasi accertamento di illiceità della pubblicazione. In dodici casi l’Authority ha archiviato i procedimenti ritenendo insussistenti o, almeno, insufficienti gli elementi per ordinare la rimozione dei contenuti contestati o l’inibitoria all’accesso ad interi siti internet e, in due casi le istanze sono state ritirate dai titolari dei diritti.

L’Autorità, dunque, in un anno si è ritrovata ad ordinare agli Internet service provider di bloccare l’accesso a taluni siti internet quarantasei volte. Ovviamente la più parte dei procedimenti in questione ha riguardato la segnalazione da parte dei titolari dei diritti di siti o piattaforme – specie nei casi di diffusione al pubblico di opere musicali o cinematografiche – attraverso le quali venivano rese accessibili centinaia di migliaia e, talvolta, milioni di opere diverse.

Resta però un dato di fatto incontrovertibile e che non può non indurre – probabilmente la stessa Autorità – a qualche riflessione. Poco più di duecento procedimenti in un anno è un carico di lavoro che le 21 sezioni specializzate di proprietà intellettuale operanti presso i Tribunali italiani avrebbero, obiettivamente, potuto amministrare e smaltire agevolmente giacché si tratta di numeri che rappresentano – purtroppo per lo stato di salute della giustizia italiana – una goccia nell’oceano di giudizi e procedimenti, anche d’urgenza, introdotti ogni anno davanti ai nostri Tribunali.

Naturalmente i giudici ordinari non sarebbero, probabilmente, riusciti ad “amministrare giustizia” alla velocità media con la quale l’Authority ha affrontato e risolto i cinquantotto procedimenti nei quali è arrivata sino a pronunciare un provvedimento finale ma questo, forse, non basta a giustificare il rischio al quale le nuove regole espongono la libertà di informazione online, i costi di un sistema di “giustizia parallela” che grava in parte sui cittadini essendo rappresentato dall’attività dell’Authority e, in parte, sugli internet service provider chiamati ad attuare tecnicamente i blocchi disposti dall’Agcom e, comunque, a gestire i procedimenti promossi dai titolari dei diritti.

Ma, soprattutto, la legittima aspirazione – e, forse, in taluni casi, persino l’esigenza – di una giustizia più celere – che, peraltro, non è un’aspettativa esclusiva dei titolari dei diritti ma appartiene a centinaia di migliaia di cittadini ed imprenditori in attesa di giustizia nel nostro Paese – non basta a giustificare la scelta di aprire un varco che difficilmente potrà richiudersi nel nostro Ordinamento, stabilendo un principio destabilizzante per il quale un’Autorità amministrativa può svolgere, attraverso procedimenti sommari ed a contraddittorio ridotto, funzioni sostanzialmente sostitutive di quelle che leggi e Costituzione attribuiscono a Giudici togati.

E’ impossibile, nel soffiare sulla prima candelina del Regolamento Agcom per la tutela del diritto d’autore online, non chiedersi se – specie visti i numeri dei procedimenti avviati nel primo anno di vita – valesse davvero la pena di mettere, comunque, a dura prova la tenuta costituzionale di un sistema e di esporre a rischio alcuni diritti e libertà fondamentali per un esperimento di ingegneria giuridica che – quale che sarà la decisione della Consulta – si mostra oggi, forse, evitabile.

Forse, avrebbe avuto più senso – e ne avrebbe ancora se l’Agcom facesse un passo indietro ed il governo uno in avanti – pensare a creare, ammesso che sia davvero necessario, un’alta velocità presso le sezioni specializzate di proprietà intellettuale, lasciando così ai Giudici togati fare i Giudici e l’Authority a concentrarsi sulle altre sue centinaia di funzioni molte delle quali sempre più centrali per lo sviluppo democratico e competitivo della Società dell’informazione.

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