Sky sta riportando d’attualità gli anni Novanta con 1992, la serie che racconta la nascita di Tangentopoli? Benissimo, Mediaset risponde riportando su Italia1 Karaoke, uno dei programmi simbolo di quel decennio, al debutto con la conduzione di Fiorello proprio nel 1992. A ognuno il suo.
Di primo acchito, la riedizione andata in onda lunedì sera su Italia 1 sembrava piuttosto conforme all’originale; dodici ugole ruspanti prese dalla strada, anzi, da una piazza di Treviso trasformata in palcoscenico, che si sono spartite salomonicamente ritornelli e stonature. Rispetto al passato c’erano però due differenze clamorose; nonostante i dribbling delle telecamere per non farlo capire, la piazza era tutt’altro che gremita; e al posto di Fiorello che scopriva se stesso c’era il comico Angelo Pintus, il più amato da Carlo Conti, che tentava disperatamente di imitarlo. Nel vecchio Karaoke veniva voglia di cantare a casa; in questo nuovo si sta male per quelli che cantano in video.
Siccome anche i network hanno un’anima, e soprattutto hanno un inconscio, prima di cambiare canale veniva da chiedersi quale fosse il significato di questo revival parallelo. Probabilmente Sky si augura che un certo periodo ce lo lasciamo alle spalle una volta per tutte, per consegnarne il giudizio alla storia, mentre a Mediaset piacerebbe tanto vederlo tornare, quel periodo, e il perché non è difficile da capire. Karaoke fu il colpo di coda dell’età dell’oro delle tv berlusconiane; quella striscia collocata alle 20 per chi invece di seguire i Tg preferiva cantare, tanto aveva già visto il cabaret di Emilio Fede; l’eterno strapaese che si scopriva villaggio-vacanze sull’onda lunga degli anni Ottanta, in assoluta adorazione della Tv (la rete era ancora in fasce), il tutto trascinato dalla carica del primo Fiorello.
Basta mettere in fila queste cose per capire quanto sia improbabile che quel successo così improvviso e inaspettato si possa ripetere. Con tutto il rispetto per Angelo Pintus, per i suoi tatuaggi (dunque moltissimo rispetto) e le sue battute (dunque un po’ meno rispetto) rifare il Karaoke senza Fiorello è come rifare un quiz senza Mike Bongiorno, un talk show senza Salvini, un Porta a Porta senza plastico; una caccia alla volpe senza la volpe.
Se poi Fiorello è andato avanti per la sua strada e il Karaoke è rapidamente diventato un oggetto di modernariato, una ragione ci sarà; e ce ne sarà un’altra se il fratellino Beppe Fiorello, ereditata la conduzione, dopo il primo anno scappò a gambe levate per poi diventare un divo delle fiction strappacuore, nuovo approdo del mutato spirito del tempo.
Senza contare che in quei primi anni Novanta anche i talent show erano di là da venire (per non parlare di YouTube), e dunque il Karaoke tra una stecca e l’altra poteva sperare di accalappiare qualche autentico talento canterino, mentre adesso a proporsi nelle piazze sono rimasti giusto quelli che hanno scartato perfino a Forte forte forte. Desiderare che qualcosa si ripeta non basta perché si ripeta; anzi, insistere troppo è quasi sempre un ottimo modo per ottenere l’effetto contrario. Riscaldando la minestra del Karaoke Mediaset insegue l’impossibile karaoke di se stessa, la nostalgia di un’età dell’oro che non può tornare, ed è invece è il classico segnale di tutti i viali del tramonto.
Il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2015