Parola per parola. A domanda risponde, spiega, illustra, svela anche. Alex Crisafulli, boss alla milanese, ex ras di Quarto Oggiaro assieme al fratello Biagio, sta seduto davanti al microfono. Il giudice Giuseppe Gennari ascolta, il pm Marcello Musso interroga. Capelli rasati, occhiali con montatura nera e muscoli in bella vista, Crisafulli ripercorre vent’anni di malavita. Aula bunker di San Vittore, udienza per il processo nato dall’inchiesta Pavona 4. Sul tavolo droga e mafia. Pentiti anche. Come Alex che non vuole essere chiamato tale anche se nel primo interrogatorio dell’agosto 2014 davanti al pm aveva detto: “Da sei anni a questa parte io con le istituzioni mi sento alleato (…) Le ho detto che mi sono arreso” e “cazzo, sono venuto qua come collaboratore io (…) perché la galera non è più il mio posto”. All’ordine del giorno, la storia di uno dei quartieri passato alle cronache come il fortino della malavita. “Ai mieti tempi – spiega Crisafulli – c’erano dieci bar dove spacciavano, a Quarto si spacciava ovunque”.
Erano gli anni Novanta. Nel ’94 Crisafulli finisce in galera dopo undici mesi di latitanza. Addosso gli pioveranno oltre vent’anni di carcere. “Da allora – dice – sono andato in pensione”. Del presente, dice di saperne poco. Conosce, invece, il passato. E dal passato ripesca traffici e omicidi. Come quello di Vincenzo Morelli, alias Spadino scomparso nel 1991 e ritrovato cadavere nel 2006 sotto due metri di terra nel parco delle Groane a nord di Milano. Già davanti al pm aveva spiegato che la ricostruzione di quel delitto aveva dei buchi. Oggi in aula, addirittura, scagiona uno dei boss calabresi condannati all’ergastolo. Si tratta di Angelo Carvelli, padre di Francesco, il giovane rampollo del casato mafioso ucciso nell’estate del 2007. Del padre e della condanna per la morte di Spadino dice: “Angelo Carvelli sta all’ergastolo ma non c’entra niente”. Secondo le sentenze, invece, Carvelli senior, assieme a Enzo Scandale, altra mente criminale oggi all’ergastolo, scavò la buca dentro la quale fu messo Morelli. Da qui una condanna per concorso in omicidio che poco cambia nella sostanza. Risultato: carcere a vita. Ora però le rivelazioni di Crisafulli possono riscrivere la storia. Spiega l’ex boss andato in pensione: “Morelli, la persona uccisa da Foschini (Vittorio Foschini, oggi pentito). E questo Foschini aveva accusato me e mio fratello di essere i mandanti”. Alla fine Alex e Biagio saranno scagionati. “Morelli si è unito alla batteria di Foschini, Pellegrino. Solo che loro lo odiavano Spadino, però non avevano il coraggio di ucciderlo, perché erano una banda di scappati di casa. Millantavano cose che, specialmente Foschini, non avevano mai fatto. Morale Spadino muore, perché una sera si trova a mangiare con il fratello di Foschini, mi pare si chiami Tonino e tra un pippotto di cocaina e l’altro gli dice: Mi sono scopato la sorella di Pellegrino. Siccome il più montato dei Pellegrino era Dino Pellegrino, Dino è andato fuori di testa e il giorno dopo l’hanno ucciso. Ed è lì che è morto Spadino, perché Spadino ha fatto questa confidenza. Siccome loro lo volevano uccidere da tanto però non so perché non si decidevano mai a farlo, perché evidentemente non se la sentivano, finché l’hanno portato in casa di Nicolino, altro fratello dei Pellegrino che abitava a Baranzate, in una casa… lui aveva sposato una zingara, e l’hanno ucciso lì. L’hanno ucciso lì”.
Omicidi, dunque. Come quello di Rocco Carbone ucciso a Lazzate nel 1989. “Lui – spiega Crisafulli – faceva le estorsioni a un negozio dove lavorava Domenico Brescia. Allora io vado da Pepè Flachi e Franco Coco Trovato. Loro lo agganciano, gli spiegano, ma Rocco va avanti”. Da qui la decisione di ucciderlo. A farlo non sarà Crisafulli “ma Flachi”. Il boss della Comasina gli sparò due “cannonate” in faccia. E poi c’è l’omicidio del 2007, quello di Carvelli junior. Dopo i delitti, le dinamiche della mala a Quarto Oggiaro. “Con i fratelli Tatone che – spiega Crisafulli – non hanno mai fatto parte del nostro gruppo, lo spacciavano e noi lasciavamo fare. Come anche i Carvelli che trafficavano in un angolino di Quarto Oggiaro”. Perché negli anni Novanta e ancora prima “questo quartiere lo abbiamo costruito noi”. Crisafulli spiega, poi, perché nel 2007 il fratello, vera autorità su Quarto, diede il via libera ai Tatone di sovraintendere al traffico. “In quel periodo – dice Alex – fu arrestato il contabile di Biagio. E dunque mio fratello che fino a quel momento non si era più interessato di Quarto tornò a battere cassa”. Chi paga la cagnotta? I fratelli Tatone. Due di loro, nel 2013, saranno uccisi da Antonino Benfante.