Questa la conclusione a cui è arrivato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che ha presentato in Senato la relazione sulle indagini avviate l’8 ottobre 2014 con l’obiettivo di far luce sulle operazioni che avevano visto agenti penitenziari e 007 'pagare' i boss reclusi in regime di 4 bis in cambio di informazioni
Il Protocollo Farfalla e Rientro non sono mai esistiti perché non si sono mai attuati. Questa la conclusione a cui è arrivato il Copasir che ha presentato in Senato la relazione sulle indagini avviate l’8 ottobre 2014 con l’obiettivo di far luce sulle operazioni che avevano visto agenti penitenziari e 007 ‘pagare’ i boss reclusi in regime di 4 bis in cambio di informazioni. I periodi di riferimento erano tra il 23 giugno 2003 ed il 18 agosto 2004, per il Farfalla, e tra il 25 novembre 2005 ed il 2 febbraio 2007 per il Rientro. “Un fallimento”, un “insuccesso” l’hanno definita il presidente del Comitato per la sicurezza, Giacomo Stucchi, e il relatore all’inchiesta Giuseppe Esposito, conclusione a cui sono arrivati però avendo a disposizione solo 13 documenti e l’impossibilità di poter accedere a tutti i documenti del servizi segreti.
In particolare il protocollo Farfalla è messo nero su bianco in sei pagine, ma nessuna firma, nessuna intestazione e solo la dicitura “riservato” stampata in cima al primo foglio. Quel documento anonimo di fatto era stato acquisito dai pm della procura di Palermo che indagano sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra e inserito nel fascicolo aperto dopo le ammissioni del pentito Sergio Flamia. L’uomo d’onore di Bagheria, che per anni ha avuto rapporti con i servizi, aveva ammesso di avere ricevuto le visite in carcere di importanti agenti dell’intelligence anche dopo aver deciso di collaborare con la magistratura.
L’operazione Farfalla, si legge nella relazione, però “fallì” clamorosamente “per l’infondatezza dei presupposti, per la difficoltà di stabilire un rapporto fiduciario con i carcerati individuati e in particolare per l’impercorribilità di un’operazione caratterizzata da un’attività di contatto intermediata da personale del Dap privo di specifica formazione”.
Anche l’operazione Rientro si è “rivelata un insuccesso, fermo restando le valutazioni relative all’operato del Dap, su cui del resto il Comitato non ha specifiche competenze, si può affermare che il personale del Servizi ha agito secondo le regole e applicando correttamente le procedure previste”. In sostanza secondo il materiale messo a disposizione dal Copasir entrambe le operazioni non sono state avviate, ma questo non significa che non siano state strutturate e organizzate nei periodi di riferimento. Nella relazione infatti si evince che nell’operazione Farfalla gli 007 hanno “sconfinato dalla cornice normativa allora vigente” normativa che è stata interpretata “in modo strumentale e arbitrario” e anche il Dap ha svolto un ruolo “non consono alle sue prerogative e fuori dal perimetro assegnato”. In sintesi sia gli 007 che gli agenti penitenziari quelle operazioni le hanno pensate, ma non esistono prove a disposizione che lo dimostrino.
Comunque il Sisde ha agito sconfinando dalla legge sui servizi, che è stata interpretata “in modo strumentale e arbitrario”. Ed anche il Dap ha svolto un ruolo “non consono alle sue prerogative e fuori dal perimetro assegnato”si legge nella relazione. La più controversa delle operazione è la prima, avviata dal Sisde per raccogliere informazioni, tramite il Dap, da otto detenuti (Buccafusca, Cannella, Rinella, Genovese, Angelino, Pelle, Di Giacomo e Massaro) che, sentendosi abbandonati dalle proprie famiglie o dalle organizzazioni criminali di appartenenza, avrebbero potuto avviare una collaborazione con il servizio. Nessuno dei detenuti ‘attenzionati’ è poi diventato una fonte fiduciaria del Sisde e l’operazione si chiusa con un fallimento. Protagonisti dell’attività gli allora direttori di Sisde e Dap, Mario Mori e Giovanni Tinebra ed il responsabile dell’Uffici ispettivo del Dap, Salvatore Tinebra.
I termini dell’operazione, trattati a voce tra i dirigenti di Sisde e Dap, furono sintetizzati in un unico appunto datato 24 maggio 2004, in cui si fissarono i criteri, i nominativi e le procedure del rapporto. In un precedente appunto informale datato 21 luglio 2003, si evidenziano le esigenze del servizio, tra le quali compare la realizzazione dei contatti con i detenuti “al fine di sviluppare autonome e mirate azioni di intelligence, non intaccate da ulteriori interessi da parte di altri organismi”. Per il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato in questo modo la polizia penitenziaria, invece di informare la magistratura, avrebbe informato il Sisde. Mori ha negato questa interpretazione. Ma legge, puntualizza la relazione, stabilisce che notizie di reato “dovevano essere trasmesse comunque all’autorità giudiziaria da parte degli operatori di polizia giudiziaria del Dap, primi ed unici ‘ascoltatorì dei detenuti all’interno delle carceri italiane”.
È emerso inoltre che di questa operazione “non vi sarebbe stata alcuna specifica informativa destinata all’Autorità politica pro tempore”. I due ministri dell’epoca Giuseppe Pisanu (Interno) e Roberto Castelli (Giustizia), ascoltati dal Comitato, hanno riferito di non essere stati informati. Il ruolo di Tinebra, lamenta, il Copasir, ne esce oscurato da un secco “non so e non sapevo”, aggiungendo di avere delegato tutto a Leopardi. Quest’ultimo lo smentisce riferendo aver più volte informato il direttore del Dap sul prosieguo dell’operazione.
Lo scambio informativo tra Sisde e Dap è avvenuto per la maggior parte tramite comunicazioni date a voce, non codificate e non protocollate. Nessun documento in merito risulta prodotto dal Dap. Il rapporto informativo instaurato tra i due organismi nell’operazione Farfalla, sottolinea il Comitato, “è stato costruito solo sulla base di conoscenze personali tra i rispettivi dirigenti e direttori degli enti e non sulla base di regole precise, concordate e codificate”. Non è stato pertanto rispettato l’articolo 6 della legge 801 del 1977, secondo cui “Il ministro per l’interno, dal quale il Sisde dipende, ne stabilisce l’ordinamento e ne cura l’attività sulla base delle direttive e delle disposizioni del presidente del Consiglio dei ministri” e ancora “il Sisde è tenuto a comunicare al ministro per l’Interno e al Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza (Cesis) tutte le informazioni ricevute o comunque in suo possesso, le analisi e le situazioni elaborate”. “Con queste premesse – evidenzia la relazione – l’operazione Farfalla non poteva che risultare fallimentare, così come poi è stata, con il coinvolgimento di uomini del Dap, del Sisde e della magistratura che sono stati distolti da attività più utili e produttive per l’Italia e per i cittadini. L’assenza di riscontri documentali e la gestione poco trasparente dell’attività ha giustificato ricostruzioni e letture dietrologiche di deviazioni, calibrate ad una trattativa tra lo Stato e la criminalità“.