Arretra in Iraq, dove il governo ha annunciato di aver ripreso la città di Tikrit, ma conquista nuove aree in Siria. Lo Stato Islamico avrebbe infiltrato la parte meridionale del campo di rifugiati palestinesi di Yarmouk, nel sud della capitale Damasco. Lo hanno riferito fonti a Xinhua e confermato il portavoce dell’Olp (l’Organizzazione per la liberazione della Palestina), Anouar Abdel Hadi.
Strada per strada, casa per casa, sotto le bombe di Bashar al Assad, senz’acqua e senza cibo: in queste drammatiche condizioni si combatte nel campo profughi alle porte di Damasco, che l’Isis e i qaedisti del Fronte al Nusra sono riusciti dopo cinque giorni a conquistare per oltre il 90% contro le fazioni ribelli laiche e dove si consumano esecuzioni sommarie, rapimenti e dove è stata documentata la decapitazione di almeno due palestinesi che difendevano il campo.
E nel nord della Siria, a Dana, vicino a Idlib, il Fronte al Nusra, affiliazione siriana di Al Qaeda, ha rapito e liberato nel giro di poche ore 300 curdi, fra cui diversi bambini. Si trattava, secondo alcuni media mediorientali, di cinque pullman e un minibus pieni di lavoratori curdi e loro figli che da Afrin stavano viaggiando verso Aleppo per ricevere il loro salario. Erano stati fermati ad un posto di blocco di miliziani e portati via. Il partito curdo siriano Pyd ha accusato del rapimento il Fronte al Nusra. E lo stesso partito ne ha annunciato più tardi la liberazione.
Gli ultimi, confusi sviluppi del fronte siriano del conflitto mediorientale fanno emergere indizi di un’alleanza, almeno tattica e forse localizzata, fra l’Isis e Al Qaeda, che finora apparivano concorrenti e su posizioni inconciliabili e che solo un anno fa si massacravano a vicenda. Diversi testimoni e ong affermano che le due formazioni in questi giorni combattono fianco a fianco nelle strade di Yarmuk. Le due formazioni potrebbero aver unito le forze o essere in concorrenza contro il nemico comune, le formazioni palestinesi laiche e anche Hamas, che in queste ore a Gaza ha inscenato manifestazioni di piazza contro l’Isis e i qaedisti. L’ex popoloso campo – in realtà una città vera e propria – è un avamposto per accedere alla capitale Damasco, che dista solo pochi chilometri, e per questa ragione si ha notizia di bombardamenti costanti da parte delle forze del regime siriano e l’Osservatorio denuncia anche il lancio su Yarmuk di cosiddette bombe “a barile”, grossi contenitori riempiti di esplosivo e frammenti di metallo lanciati dagli elicotteri.
Presa fra tre fuochi, allo stremo, senza l’essenziale per vivere, la residua popolazione del semidistrutto campo palestinese – già ridotta da 150mila a 18mila abitanti dopo due anni di assedio delle forze di Assad – sta cercando di fuggire come e quando può. Una situazione che un funzionario dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Chris Gunness, ha descritto come “al di là del disumano”: “Questo significa che non c’è cibo, non c’è acqua e ci sono pochissimi farmaci”.
Intanto nello Yemen l’Onu calcola che in due settimane di raid aerei sauditi contro i ribelli sciiti Huthi, che controllano larga parte del Paese oltre alla capitale Sanaa e ad Aden, i morti siano oltre 500. Tanto che il Comitato internazionale della Croce Rossa ha deciso di inviare due voli con personale umanitario, che per ora sono stati sospesi per via della violenza sul terreno.
Secondo la tv panaraba Al Arabiya, circa 30mila uomini armati della tribù sunnita di Maarib stanno preparando una controffensiva per riprendersi Aden dai ribelli sciiti.
E se lo Yemen, come la Siria e l’Iraq, è uno dei punti nodali dove corre il fronte fra l’Iran e le potenze sunnite guidate dall’Arabia Saudita, a quest’ultima ha espresso “piena comprensione” per le sue preoccupazioni l’Italia, per bocca del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.