La società aeroportuale che gestisce gli scali di Linate e Malpensa a fine 2013 ha acquisito da Acqua Marcia la società di handling Ali trasporti aerei. L'uruguayana Cedicor, che ha partecipato alla gara perdendola, ha fatto ricorso e l'authority le ha dato ragione stabilendo: Sea ha ostacolato lo svolgimento della procedura compiendo un "abuso molto grave" e ha “vanificato gli effetti di un’asta fallimentare”
Sea cade di nuovo sulla concorrenza. La società aeroportuale che gestisce gli scali di Linate e Malpensa è stata infatti multata dall’Antitrust per 3,36 milioni di euro per un abuso di posizione dominante giudicato “molto grave”. Al centro della contestazione c’è l’acquisizione della Ali trasporti aerei (Ata) avvenuta a fine 2013, a seguito della dismissione del patrimonio della società Acqua Pia Antica Marcia (Sapam) del gruppo di Francesco Bellavista Caltagirone che ne deteneva il controllo. La vicenda non ha nulla a che vedere con quella di Sea Handling, oggi divenuta Airport Handling, per evitare la restituzione di 360 milioni di aiuti di Stato più interessi chiesta dalla Commissione europea. Di simile c’è però il mancato rispetto delle regole del mercato, che ora rischia di pesare sulle casse pubbliche, visto che socio di maggioranza di Sea è il Comune di Milano, seguito da un azionista privato, il fondo F2i.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è attivata in seguito alla denuncia dell’uruguayana Cedicor, anch’essa attiva nel settore aeroportuale, che ha contestato il modo in cui Sea è riuscita ad acquisire Ata, società che proprio grazie a una convenzione con Sea aveva in concessione la gestione a Linate di parte dei servizi di assistenza a terra (il cosiddetto ‘handling’), oltre che la gestione dell’area ovest dello scalo, dedicata ai voli privati e all’aviazione d’affari. Ata era controllata al 98,3% dalla Sapam, società di Caltagirone per la quale nel 2012 è stata aperta una procedura di concordato preventivo. Di qui la messa in vendita di Ata attraverso una gara indetta dai liquidatori, a cui hanno partecipato sia Sea che Cedicor. Solo che Sea – scrive l’Antitrust nel provvedimento sanzionatorio – ha cercato in principio di ostacolare la procedura di aggiudicazione, sostenendo che Sapam non aveva messo a disposizione tutte le informazioni utili a stimare il valore di Ata. Un’accusa che però l’Antitrust ha giudicato infondata.
Quando poi Sea ha avuto notizia che Cedicor aveva presentato un’offerta superiore alla sua del 25%, ha chiuso unilateralmente la convenzione con Ata, sulla base di presunte inadempienze. Ma anche qui, l’Antitrust parla di “uso strumentale della leva della risoluzione della convenzione”. Infine, nell’autunno del 2013, Sea ha presentato un’offerta al rialzo per l’acquisto di Ata. E a quel punto la società uruguayana si è tirata indietro, anche perché su tutto pendevano le conseguenze della risoluzione della convenzione. Così a fine 2013 Sea è entrata in possesso di Ata. Ma secondo l’Antitrust la società aeroportuale, con la sua strategia, “ha vanificato gli effetti di un’asta fallimentare” e ha messo in atto “un abuso molto grave che ha alterato irrimediabilmente la concorrenza per il mercato della gestione delle infrastrutture aeroportuali, inibendo l’ingresso a un concorrente efficiente (Cedicor, ndr) e in grado di offrire un servizio qualitativamente elevato”. Inoltre Sea ha influito sui servizi di handling grazie all’acquisizione dell’operatore Ata e “ha causato evidenti danni agli utenti delle infrastrutture aeroportuali”, non solo ai vettori aerei e agli operatori di handling, ma anche ai consumatori finali del servizio di trasporto aereo, privati della possibilità di usufruire di un’ulteriore offerta di servizi di elevata qualità.
L’ammontare della sanzione, pari a 3,36 milioni di euro, è stato stabilito in considerazione del fatturato di Sea e della gravità della violazione riscontrata. Dal canto suo la società milanese, sulla quale pende un’indagine europea per sospetti aiuti di Stato per altri 25 milioni di euro legati ad Airport Handling, non ci sta. E ha annunciato ricorso al Tar, nella convinzione “dell’infondatezza del provvedimento e sicura della legittimità del proprio operato, ritenendo di avere agito nel pieno rispetto della normativa antitrust”.
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