Dodici anni di confronto sul nucleare iraniano, 18 mesi di trattative con vari rinvii e 8 giorni serrati di negoziati quasi ‘non stop’ non bastano per perfezionare l’intesa a Losanna. Ma i progressi sono sufficientemente dettagliati perché la trattativa possa continuare, nell’ambito di un accordo quadro, con l’obiettivo di chiuderla entro il 30 giugno, nuova – e ovviamente definitiva – scadenza finale. Federica Mogherini, ‘ministro degli Esteri’ Ue, e Moham Zarif leggono, in inglese e in farsi, una dichiarazione congiunta, nell’auditorium del Politecnico di Losanna, sponsorizzato dagli orologi Rolex. Il presidente Obama segue la conferenza stampa in diretta tv, poi assicura: “L’Iran non avrà l’atomica”; il segretario di Stato Usa Kerry parla di “un giorno storico”, il ministro russo Lavrov se ne va prima dello show mediatico . La Mogherini, che si trova addosso i riflettori di un risultato importante, ma monco, esalta la portata dell’intesa e tweetta “Buone Notizie”.
Una serie di protocolli tecnici dovrebbe rimanere segreta, ma le centrifughe operative saranno ridotte da 19.000 a 6.000 per i prossimi 10 anni. Il grosso delle scorte d’uranio arricchito sarà diluito o trasferito all’estero e alcuni siti saranno depotenziati, in cambio, fra l’altro, della cancellazione delle sanzioni anti-Teheran di Usa, Ue e Onu.
L’impianto di Natanz resterà attivo per arricchire l’uranio. L’impianto di Fordow, sotto una montagna, sarà convertito in un sito per la ricerca, senza materiale fissile. Il reattore ad acqua pesante d’Arak sarà modificato. Saranno pure definite modalità d’ispezione. Le ultime battute dei negoziati sono stati segnati da una polemica tra Iran e Usa, dopo che il capo del Pentagono Carter aveva detto che “l’opzione militare resterà di sicuro sul tappeto” senza un compromesso tra Teheran e i ‘5+1’. Il ministro della Difesa iraniano, generale Dehghan, replicava che Carter “soffre di Alzheimer”.
La trattativa a Losanna sarebbe stata la più lunga da quella del 1919, dopo la Grande Guerra. Ma non è bastata per suggellare il negoziato. Perché l’unico modo per riuscirci è chiudere dentro gli emissari e gettare la chiave.
Come fecero nel 1270 gli abitanti di Viterbo, stanchi delle lungaggini dei cardinali nello scegliere il Papa: li chiusero nella Sala Grande del palazzo papale e scoperchiarono parte del tetto, per indurli a sbrigarsi. Ne uscì papa Gregorio X.
Le maratone negoziali sono a volte un rito, specie nelle liturgie europee, ma spesso una necessità.
Prova l’accordo di Minsk tra Ucraina e Russia mediato da Germania e Francia. Se l’11 notte Merkel e Holande avessero lasciato che Poroshenko e Putin andassero a dormire, il 12 mattina, invece di giungere a un’intesa, la trattativa sarebbe ripartita non dalle posizioni raggiunte, ma dalle posizioni di partenza. Perché alla ripresa è prassi rimangiarsi le concessioni fatte.
La storia dell’integrazione europea è segnata da maratone negoziali: negli Anni ‘80, le trattative sul bilancio dell’allora Comunità non si chiudevano mai prima dell’alba: la notte chi aveva più resistenza spuntava le condizioni migliori.
Il Fatto Quotidiano, 3 aprile 2015