Si andava discutendo, nell’ultimo post di questo blog, di Venezuela e di barzellette mal raccontate (o, se si preferisce, di cattivo gusto). Più specificamente: di quelle barzellette particolarmente mal raccontate (e particolarmente di cattivo gusto) che gli eredi del ‘comandante supremo ed eterno’ Hugo Chávez Frías sono soliti chiamare, in piena sintonia con il fondatore del culto, tentativi di golpe. In tutto, ad occhio e croce, un centinaio di storielle che, proposte con pressoché quotidiana frequenza, hanno finito per accavallarsi ed annullarsi a vicenda, perdute ed indistinguibili in un gran calderone nel quale ormai, parafrasando un antico detto, tutti i golpe sono grigi.
Da questo gran calderone vale tuttavia la pena estrarre due interconnesse barzellette – molto mal raccontata la prima, esposta con tutta la professionalità e l’arte d’un grande comico, la seconda – che aiutano a meglio capire la tragicommedia che, di questi tempi, si va rappresentando in un Paese in piena bancarotta economica, politica e morale. La prima barzelletta (quella mal raccontata e di pessimo gusto) è ovviamente la storia d’un golpe. Ed a raccontarla fu, in diretta televisiva, il 28 maggio scorso, il sindaco del Municipo Libertador di Caracas, Jorge Rodríguez, per l’occasione nelle vesti di rappresentante del cosiddetto Alto Mando Politico, l’alto comando politico, un’entità istituzionale non prevista della Costituzione che, volendo passare dalla tragedia alla farsa, sta alla rivoluzione chavista come il Comitato di Salute Pubblica (che, notoriamente era un organo di direzione politica e, insieme, di ‘pulizia’ giudiziaria) a suo tempo stette alla rivoluzione giacobina.
Lo scenario era – come si conviene alle denunce televisive dell’ Alto Mando– accigliato e solenne. Accanto a Rodríguez, tutto il Gotha della rivoluzione chavista, con la sola giustificata eccezione dell’apostolo Nicolás. Da un lato Cilia Flores (moglie di Maduro, autonominatasi primera combatiente) ed il vicepresidente Jorge Arreaza (noto anche come el primer yerno, il primo genero, avendo sposato una delle figlie dell’ ‘eterno’); dall’altro il ministro degli interni, generale Miguel Rodríguez Torres. Tutti sotto il vigile sguardo del capitano Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale e riconosciuto ‘uomo forte del regime’. “Abbiamo le prove – disse in tanto austera compagnia il portavoce dell’ Alto Mando – d’un complotto teso a rovesciare l’ordine costituzionale partendo dall’assassinio del presidente Maduro“.
Ed a sostegno delle sue parole presentò – con l’aiuto di pannelli pieni di freccette rosse e di foto dei congiurati – il testo d’una serie di e-mail (o più precisamente una serie di g-mail) l’un l’altro inviatesi da alcuni tra quelli che, nella logica delle ‘barzellette chaviste’, possono tranquillamente definirsi i ‘soliti noti’: la deputata Maria Corina Machado (già espulsa d’autorità, alla faccia della Costituzione, dalla Assemblea Nazionale), l’ex diplomatico Diego Arria (oggi residente negli Usa), l’ex dirigente di Pdvsa Pedro Mario Burelli (anch’egli residente negli Usa) ed altri…
Quelle e-mail (g-mail) avevano, a dispetto d’una presentazione tanto graficamente contorta, due fondamentali e semplicissime caratteristiche. La prima: altro non dimostravano che una molto forte avversione politica degli scriventi nei confronti di Nicolás Maduro e del suo governo. Nessuna traccia di complotti o, ancor meno, di progetti omicidi. La seconda (ed ancor più definitiva): erano tutte false. False, fasulle, non vere, inventate, fabbricate, una vera e propria presa per i fondelli, come su sollecitazione d’uno dei ‘magnicicidi’, a breve giro di posta – ed al di là d’ogni ragionevole dubbio – confermò Google, per i cui server quei messaggi ‘sovversivi’ avrebbero dovuto passare. Chi e perché s’era inventato quelle e-mail? A questa ovvia domanda Jorge Rodríguez non ha mai risposto, limitandosi ad affermare, a fronte d’una tanto contundente smentita, che esistevano ‘tutte le prove necessarie’ per mettere sotto accusa i cospiratori omicidi. Prove, aggiunse, che sarebbero state rese pubbliche ‘al più presto’. Quel ‘al più presto’ – è appena il caso di ricordarlo – ancora deve arrivare…
Quello che accadde poi (e qui veniamo alla seconda barzelletta, quella di buon gusto) fu questo. Una settimana più tardi, Luis Chataing – comico assai popolare e titolare d’una delle poche trasmissioni Tv che, sulla rete privata Televen (e molto lontano dal prime-time), ancora si permetteva qualche sprazzo di satira politica – decise di prendere per i fondelli chi, per l’ennesima volta, aveva preso per i fondelli il Paese. Ed allestì un magistrale siparietto nel quale, prima accusò uno dei suoi assistenti d’avergli rubato la penna a sfera. E poi – a fronte del reclamo d’innocenza dell’accusato – seduta stante fabbricò le prove della colpevolezza di quest’ultimo. Carta e colla per allestire un pannello. Freccette rosse e fototessera del ‘colpevole’. E tante e-mail. Tutte da lui inventate, come inventate erano state quelle presentate dall’ Alto Mando. Fu quella l’ultima comparsa di Luis Chataing in Tv. Su ovvia (anche se ipocritamente negata) pressione del governo, Televen cancellò seduta stante il suo programma…
Così, dunque, vanno oggi le cose in Venezuela. Un Paese dove le barzellette di buon gusto sono, su richiesta del governo, causa di licenziamento. E dove, per contro, la barzelletta di cattivo gusto è diventata un modo di governare. Tenetelo presente la prossima volta che qualcuno vi porrà il quesito: è il Venezuela una democrazia o una dittatura?