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Airbnb a Cuba, lo sbarco dell’home sharing sull’isola costa 38 dollari a notte

Un vademecum digitale in sette lingue campeggia sul Granma.cu – il portale informativo del Partito comunista cubano – per promuovere “la cartera de oportunidades de inversión extranjera” (il ventaglio di opportunità per gli investimenti stranieri).

“Airbnb” deve essere stata tra le prime società americane ad aver consultato la guida, da poche ore la compagnia che ha ideato la piattaforma che ha rivoluzionato il modo di viaggiare di milioni di persone, è sbarcata sull’isola caraibica.

L’offerta, in questa prima fase, è riservata ai soli cittadini statunitensi, ma è facile immaginare che presto non occorrerà specificare quale Stato abbia rilasciato il passaporto per prenotare un appartamento a L’Avana o a Santiago. Limitata è anche la rete di home sharing sull’isola, la capitale raccoglie circa il 40% delle offerte, il resto è distribuito nelle sole località di Matanzas, Santa Clara e Cienfuegos.

Con la crescita della domanda aumenterà pure l’offerta: già dopo l’annuncio di dicembre del “disgelo” nelle relazioni tra gli Usa e Cuba, la domanda dei turisti statunitensi ha subito un’impennata esponenziale, secondo fonti di Airbnb, nei primi mesi del 2015, i clic per la ricerca di alloggio a Cuba superano di gran lunga le navigazioni degli utenti per una sistemazione a Rio de Janeiro, a Città del Messico o a Buenos Aires.

Per 38 dollari a notte la piattaforma assicura un buon appartamento nel cuore de L’Avana antica, sito inserito dall’Unesco nella sua lista “World Heritage”.

L’ingresso di Cuba nella “Airbnb community” amplia notevolmente la capacità ricettiva dell’isola, contenuta finora a circa 60 mila posti letto, distribuiti tra hotel spesso decadenti e “casas particulares”, un reticolo di case vacanza che da anni offrono ospitalità a costi ridotti.

Le previsioni segnalano che quando il capitolo dell’embargo sarà definitivamente chiuso la legge “Helms-Burton” andrà in soffitta, finora il provvedimento ha ristretto gli ingressi degli statunitensi a Cuba, imponendo il rilascio da parte dell’Office of Foreign Assets and Control -una divisione del Dipartimento del Tesoro- di un “permesso speciale” per esigenze educative o culturali. Dal 2009 l’unica deroga era concessa alle centinaia di migliaia di cubani residenti negli Usa, ai viaggiatori americani non rimaneva che aggirare le maglie rigorose della legge – rischiando sanzioni economiche fino a 50mila dollari – partendo da paesi terzi e confidando nella flessibilità degli ispettori doganali cubani i quali chiudevano un occhio “dimenticando” di apporre i timbri sui loro passaporti.

Il governo di Raúl Castro dovrà adeguarsi alla sfida, rinnovando la rete di telecomunicazioni e consentendo un accesso più veloce ed economico ad Internet, oggi un’ora di connessione costa fino a 3 dollari all’ora, tariffa inaccessibile se si pensa che il salario medio è di 25 dollari al mese.

Il foglio The Guardian pochi giorni fa titolava: “Airbnb and Cuba: a match made in capitalist heaven”, sottolineando come una icona della “sharing economy”, figlia del capitalismo, si stia introducendo nella Cuba comunista.

Cosa resterà del sistema comunista cubano quando in ogni angolo di L’Avana si potrà pagare un caffè Starbucks con carta di credito MasterCard?