“Siamo tanto diversi dai nazisti?”. Succede che una frase abbia il rumore di un colpo di mortaio. Che abbia l’effetto di rovesciare tutte le regole della Storia: come se non valesse più il “c’era una volta” delle favole. “Siamo tanto diversi dai nazisti?”: dovete immaginare che a chiederselo sia un soldato americano mentre libera l’Italia. Di quelli che distribuivano cioccolato e accarezzavano i bambini, di quelli applauditi dalle ali di folla, di quelli che facevano salire la fanciulla sbaciucchiona sulla jeep col vestito a festa. “Ecco le leggi che Hitler ha fatto contro gli ebrei: non possono andare a scuola con gli ariani, non possono sposarli. Non possono comandare un ariano al lavoro. Non hanno il diritto di voto”. Siamo tanto diversi dai nazisti? Dovete immaginare che a chiederselo sia un soldato americano. Nero.
“Siamo tanto diversi dai nazisti?”. Bang, il colpo di mortaio spara la domanda nel cielo della Versilia nel romanzo d’esordio di Ilaria Lonigro, La storia prima di te – Il club segreto dei Buffalo (112 pp., 2015, 12,50 euro, ed. Memori, Roma) che porta alla luce una storia tante volte sfiorata (Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee) e mai raccontata. Cioè le due battaglie per la libertà che i soldati statunitensi neri si trovarono a combattere. Una era quella sul campo, tra i sibili dei proiettili, contro un nemico che parlava strano: il nazismo feroce, il male assoluto sceso sulla terra, la minaccia per l’Europa e per il mondo intero. L’altra battaglia di libertà era quella a casa propria, quasi nella propria camerata, tra i propri commilitoni: contro il razzismo.
“Siamo qui per portare la democrazia e la libertà agli altri, ma come facciamo se siamo i primi a non averla?”
“Siamo tanto diversi dai nazisti?” chiede ai suoi amici soldati il protagonista della storia, John Moses Railey. E una delle chiavi della storia sta proprio nel rovesciamento della prospettiva: non è sufficiente che di là ci sia il male assoluto perché di qua sia davvero tutto buono, perché ci si senta davvero immuni dal guardarsi allo specchio. “Siamo qui per portare la democrazia e la libertà agli altri, ma come facciamo se siamo i primi a non averla?” sbotta Monty, che combatte al fianco di Railey. Non c’entra il revisionismo, non è un’operazione di rimescolamento delle carte tra buoni e cattivi. Siamo diversi dai nazisti? La risposta della Storia è sì. La risposta dei neri d’America, che combattevano in un Paese straniero per restituirlo alla democrazia, è: parliamone, perché da noi ci vorrebbe qualcuno che ci porta caramelle, carezze e diritti, come qui.
La storia prima di te intreccia la grande Storia del mondo e delle sue guerre con la piccola storia degli uomini: il dolore, le paure, l’amore
La storia prima di te intreccia – come accade in tutti gli eventi cruciali dell’umanità – la grande Storia del mondo, delle Nazioni, delle guerre e delle ideologie con la piccola storia degli uomini, cioè la storia d’amore tra il Railey di cui sopra e una bella ragazza di Viareggio, Luisa Belluomini, che come tutte le adolescenti cresciute in guerra da una parte impara prima del tempo le regole della vita (del dolore, della responsabilità, della paura) e dall’altra sente la famiglia (che si carica sulle spalle mentre il padre lavora) come una gabbia dalla quale dover fuggire. In questo caso con l’amore per il suo John, così nero e così bello.
Nell’intercapedine tra la Storia dell’umanità e la grande storia d’amore tra John e Luisa, c’è la chiave di violino del romanzo di Lonigro, che – con forma asciutta, quasi cronistica, da plot, con un crescendo di mistero e scioglimento finale – si misura una volta di più con le cicatrici che la seconda guerra mondiale ha lasciato alla sua Versilia. La stessa regione, d’altra parte, dell’infame eccidio a Sant’Anna di Stazzema, che Viareggio la guarda dall’alto.
Queste terre, dalla montagna al mare, furono liberate proprio dai neri, quelli che in patria non avevano diritti e qui combattevano e soffrivano e morivano per restituire la libertà a donne come Luisa, uomini come suo padre, bambini, vecchi. La Versilia fu l’ultimo avamposto prima che gli Alleati sfondassero anche la Linea Gotica che il feldmaresciallo Albert Kesselring (quello di Lo avrai, camerata Kesselring di Calamandrei) “disegnò” nel 1944 dalla costa nord della Toscana a quella di Pesaro per cercare di fermare le truppe angloamericane che intendevano liberare anche il nord Italia. In Versilia l’occupazione nazista terminò nell’autunno del 1944 quando il quarto corpo d’armata statunitense, anche con l’aiuto delle formazioni partigiane, liberò Viareggio, Massarosa, Camaiore, Pietrasanta, Forte dei Marmi e poi i paesi montani come Seravezza e Stazzema.
Tra i soldati che misero in fuga i tedeschi anche la divisione “Buffalo”, cui erano affidate le missioni più pericolose
Tra quei soldati che misero in fuga i tedeschi c’erano anche quelli della 92esima divisione di fanteria “Buffalo“: i neri. Ecco, dunque, quei Buffalo del sottotitolo: il club segreto, i Buffalo for Democracy, che John e gli altri decidono di far nascere con lo scopo di difendere i diritti dei soldati afroamericani: umiliati dal razzismo delle loro città così lontane così come nell’esercito degli Stati Uniti. Questa è la chiave della storia. Avevano il compito di aprire il varco al resto delle truppe: era il compito più difficile, “significava stanare i soldati nazisti e fascisti nascosti nelle valli della Garfagnana e Lunigiana delle Alpi Apuane” come scrive nella prefazione Silvia Baraldini, proprio quella Baraldini del Black Panther Party che per 15 anni ha combattuto per i diritti civili dei neri, condannata a 43 anni per associazione sovversiva e altri reati, della Canzone per Silvia di Guccini.
Quelle dei Buffalo erano sempre le missioni più pericolose, con le perdite umane più elevate, al limite dell’assurdo, della carneficina, con munizioni a volte insufficienti, con ufficiali che chiedevano le indennità per ripagare il disonore di comandare truppe di neri. “Nessuno perderà i nostri voti se moriamo, perché tanto noi non possiamo votare, nessun membro del Congresso ci rimetterà se ci faranno fuori. Non ci sono neri proprietari di industrie o nei consigli di amministrazione di qualche grande gruppo. Non contiamo nulla”. Vincere la guerra era anche avere un credito, segnare un punto nella battaglia per la propria libertà. In realtà la strada sarebbe stata ancora molto lunga, I have a dream sarebbe stato solo dopo altri 20 anni. E forse quel cammino deve ancora terminare.