“La nostra azienda era il terzo produttore di piumini d’oca in Italia, con un fatturato di due miliardi di vecchie lire. Davamo lavoro a 30 persone, per non parlare delle altre 60 impiegate nei due laboratori a cui ci appoggiavamo”. Una storia di successi che risale a più di vent’anni fa. E sarebbe potuta continuare fino a oggi. La crisi globale questa volta non c’entra. Le difficoltà della Erredi di Ruggero Negrin e Daniela Mioni, marito e moglie che oggi hanno 69 e 61 anni, iniziano molto prima. “E’ all’inizio del 1993 che la banca ci chiude senza motivo le linee di credito”, raccontano i due imprenditori della provincia di Vicenza. In un paio di giorni l’istituto di credito, il Banco Ambrosiano Veneto oggi Intesa Sanpaolo, deposita una richiesta di decreto ingiuntivo, che viene approvata dal presidente del tribunale dopo poche ore, di sabato. Una giustizia che sa essere velocissima, quel 16 gennaio 1993. Come non lo sarà mai più. Contro l’ingiunzione i coniugi Negrin presentano subito ricorso. Ma sul loro caso deve ancora esprimersi la Cassazione. Dopo ben 22 anni.
I sospetti sulle pratiche della banca – “A luglio del ’92 chiediamo l’apertura di alcune nuove linee di credito – racconta Mioni -. Come garanzia io e mio marito ci accordiamo in filiale per due diverse fideiussioni. Per un altro fido si fanno garanti i miei suoceri, fino a un massimo di 50 milioni delle vecchie lire”. I documenti vengono però firmati in bianco, come spesso accadeva in quel periodo. Passa qualche settimana, cambia il direttore della filiale e succede ciò che i coniugi Negrin non si aspettano: “Quello nuovo vuole chiudere le linee di credito da poco confermate. Ci mettiamo d’accordo con un altro istituto per trasferirle lì, ma il Banco Ambrosiano Veneto non ne vuol sapere e blocca l’operazione”.
I contatti con la filiale vanno avanti, ma la soluzione non arriva. Finché il 14 gennaio 1993 la banca invia una serie di telegrammi per comunicare a società e garanti la revoca degli affidamenti e chiedere il versamento immediato di 408 milioni di lire. Due giorni dopo viene depositata un’istanza di ingiunzione che viene firmata dal presidente del tribunale di Vicenza il giorno stesso, nonostante sia un sabato. Il giudice autorizza anche l’esecuzione provvisoria del decreto: i beni messi a garanzia potranno finire all’asta ancora prima che eventuali ricorsi passino in giudicato.
Man mano che raccolgono la documentazione per difendersi, i coniugi Negrin si accorgono di alcune stranezze. Come il fatto che la fideiussione dei genitori di Ruggero è valida non per i 50 milioni di lire secondo loro pattuiti a voce, ma per 570 milioni: questo almeno è il limite indicato nei documenti compilati in originale dalla banca, visto che nella copia carbone lo spazio riservato alla cifra è ancora in bianco, sebbene si vedano in controluce le impronte lasciate dai martelletti della macchina da scrivere. Come data, poi, è stato messo un giorno di agosto, mentre altri documenti della banca e della centrale rischi di Bankitalia fanno riferimento a fideiussioni già attive a luglio, mese in cui si è trovato l’accordo a voce. I Negrin sospettano di essere stati truffati. E si rivolgono così alla giustizia su un doppio binario. In sede civile si oppongono all’ingiunzione di pagamento, mentre in sede penale denunciano le incongruenze riscontrate. E qui inizia un’altra storia. Che arriva fino ai nostri giorni.
I ritardi nel penale – La querela, presentata ad aprile del 1993, rimane chiusa in un cassetto della procura di Vicenza per mesi. Le indagini stentano a partire. E quando partono, vanno avanti a rilento. Il pm chiede per ben tre volte l’archiviazione, nonostante un’informativa della guardia di finanza del 1995 ipotizzi una “truffa contrattuale” e spieghi che “l’utilizzo ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo delle fideiussioni così irregolarmente formate costituirebbe di per sé un illecito di carattere penale”.
Alla fine il processo parte, ma siamo già nel 1999, sei anni dopo. E anche il reato contestato è dei meno gravi, l’abusivo riempimento di fogli in bianco, addebito da cui i funzionari della banca vengono assolti in primo grado. Decisione confermata nel 2000 in appello, con il pm che parla in aula di reati ormai prescritti.
Nel civile dopo 22 anni ancora nessuna sentenza definitiva – Sul fronte civile, le cose non vanno meglio. Il tribunale ci impiega undici anni per arrivare alla sentenza di primo grado, che nel 2004 respinge l’opposizione al decreto ingiuntivo e condanna i quattro garanti al pagamento di 142mila euro più interessi e spese legali.
La sentenza di primo grado viene confermata da quella di appello: i giudici prendono la loro decisione nel luglio del 2006, ma anche qui succede qualcosa di strano. Perché la sentenza viene depositata solo nel maggio del 2008. I Negrin non si arrendono e nel 2009 presentano ricorso in Cassazione. Ma da allora sono passati altri sei anni e il giudizio definitivo non è ancora arrivato. Nonostante ciò gli imprenditori hanno perso la loro casa, visto che non sono mai riusciti a bloccare l’esecutività provvisoria del decreto ingiuntivo. E all’asta è finita pure l’abitazione dei genitori garanti. La produzione di piumini è andata avanti lo stesso per diversi anni, finché ce l’hanno fatta. Ma nel 2008 anche le altre banche hanno chiuso le loro linee di credito. E anche qui qualcosa ai Negrin non torna: “La decisione è stata presa in seguito alla segnalazione fatta da Intesa alla centrale rischi della Banca d’Italia di insolvenze per oltre un milione di euro. Ma la sentenza di primo grado parlava di un debito di appena 142mila euro più interessi”.
Contattata da ilfattoquotidiano.it, Intesa Sanpaolo non commenta la vicenda, ma si limita a ricordare come in sede giudiziaria le ragioni della banca siano state riconosciute sia in sede civile che penale in tutti i gradi di giudizio sinora affrontati. Oggi Erredi è in liquidazione. I Negrin non l’hanno mai chiusa, per non perdere la possibilità di essere risarciti un giorno dei danni che ritengono la loro società abbia subìto in questi 22 anni. Un tempo lunghissimo, per loro pieno di sofferenze. Ma anche occasione per acquisire le nuove competenze che i due imprenditori mettono oggi a frutto in una nuova impresa, la Erredi consulting, che si occupa di verifiche finanziarie e rating d’impresa.