Il Chaco. Scommetto che nessuno di voi sa cosa sia. Neanch’io, fino a questi giorni. Eppure il Chaco è importante perché detiene un ben triste primato: ha il più alto livello di deforestazione al mondo: 280.000 ettari all’anno secondo l’Università del Maryland. Il Chaco è una regione del Paraguay, attraversata da una strada – la TransChaco (che fantasia) – ai cui lati si estendono immense distese di praterie dedicate all’allevamento di bovini. Allevamenti neppure di proprietà delle popolazioni locali. Ma di capitali brasiliani, argentini, uruguaiani. Anzi, le popolazioni locali se la passano male, visto che la tribù incontaminata degli Ayoreo si trova attualmente in una delle ultime porzioni vergini di foresta. Circondata da mucche.

Ma il Chaco è solo l’ultimo esempio di nefandezza praticata dall’uomo per sostenere l’insostenibile: il consumo di carne. Il consumo di carne nel mondo si sta aprendo a nuovi inquietanti scenari. Il dato nefasto è che mentre i paesi occidentali continuano a mantenere un loro standard di consumo pressoché costante (830-960 kcal al giorno), altrove l’andamento è in forte ascesa. La sola Cina dal 1963 ha decuplicato i suoi consumi (complice ovviamente l’aumento di popolazione, che peraltro è solo raddoppiata), mentre l’India, – da sempre associata ad uno stile di vita vegetariano per i suoi principi religiosi – sta cambiando le proprie abitudini alimentari, e comunque si sta piazzando ai primi posti in classifica per l’esportazione di carne bovina.

La situazione globale è questa. Attualmente ogni anno nel mondo si macellano 58 miliardi di polli, 2,8 miliardi di anatre, quasi 1,4 miliardi di suini, 654 milioni di tacchini, 517 milioni di pecore, 430 milioni di capre, 296 milioni di bovini. Sono dati della fondazione tedesca Heinrich Boll e di Friends of the Hearth, il cui “Meat atlas” (Atlante della carne) vi invito a leggere. Già, carne uguale benessere. Più o meno come il capitalismo. Poco importa se poi i danni diretti ed indiretti siano superiori ai benefici. Il Chaco insegna.

Cosa possiamo fare noi, nel nostro piccolo? Molto, possiamo scriverne, parlarne, diffondere i dati di questa follia. E poi possiamo soprattutto essere coerenti. “La Storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.

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