Dopo il dietro-front del governo sull’accelerazione che avrebbe dovuto (e potuto) portare ad avere la fibra ottica in buona parte del Paese, la vicenda legata alla diffusione della banda larga ha assunto toni ancora più surreali. Stando a quello che si è letto sui quotidiani negli ultimi giorni, la situazione è questa: il progetto del governo prevede 6 miliardi di investimenti pubblici (tra Italia e Ue) per cercare di portare la banda larga in tutto il Paese. L’idea iniziale era quella di far convergere tutti (pubblico e privati) in Metroweb, la società già attiva nella cablatura in fibra e che punta a raggiungere qualche centinaio di città nel giro di una manciata di mesi. Tutto bene? No. Perché nella partita arriva Telecom.

L’ex-monopolista è alle prese con un problema mica da ridere: un debito che ha come garanzia proprio quella rete in rame che con l’avvento della fibra finirebbe per perdere tutto il suo valore. Ed ecco che Telecom, per entrare nel progetto banda larga, pretende (non si capisce a quale titolo) di avere un ruolo preminente nella società, con il 51% delle azioni e il potere di nominare l’amministratore delegato. Il niet arriva immediatamente sia dalla Cassa Depositi e Prestiti (che detiene la quota azionaria maggiore in Metroweb) sia dall’Antitrust, che boccia l’idea di avere un operatore con una posizione simile nella gestione della rete.

In un Paese normale (copyright Massimo D’Alema) Telecom avrebbe ridotto le sue aspirazioni e ordinatamente collaborato all’operazione. Se non per il bene dell’Italia, almeno per un minimo di buon senso. Nel nostro Paese, però, le cose funzionano diversamente e ci troviamo quindi ad assistere a un delirante braccio di ferro tra Cdp e Telecom, in cui la seconda minaccia di andare da sola per cablare con la fibra ottica 40 città in concorrenza a Metroweb. Al di là dell’assurdità di avere un doppio cablaggio (con conseguente spreco di soldi ed energie, raddoppio degli scavi e confusione assoluta nella successiva gestione) la minaccia di Telecom ha altre ripercussioni. In base alle geniali norme dell’Unione Europea, infatti, la presenza di un privato che opera nello stesso settore e sullo stesso territorio impedisce di utilizzare fondi pubblici.

Morale: se Telecom andrà avanti con i suoi propositi, quindi, nelle città in cui ci sarà la sua fibra non potranno essere usati soldi pubblici per le infrastrutture di rete. Insomma: la grande opera strategica (questa sì, mica la Tav) per il futuro del Paese rischia di essere bloccata o per lo meno ostacolata dagli interessi privati di un’azienda. In tutto questo il governo Renzi, che non esita ad asfaltare sindacati, lavoratori, minoranze interne ed esterne per approvare le sue leggi, sulla banda larga continua a fare il timido e si limita ad assicurare che tutto andrà per il meglio. Come, non si sa.

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