Cosa ci vuole per fare un burattino senza fili? In primo luogo occorre disporre di un pezzo di legno magico. In assenza di tale materia prima si potrà costruire solo un burattino come tutti gli altri.
Per fare qualsiasi cosa occorre anzitutto la materia prima adeguata. Se vogliamo fare un narcotrafficante (o un trafficante di qualsiasi altra cosa come armi o esseri umani) sarebbe impossibile, o comunque molto difficile, realizzarlo con un essere umano felice, sano, educato a principi sani, che sia stato amato dai genitori, con speranze positive nella vita. Bisogna andare a cercare il materiale dove esso si trova. Le favelas sono alcuni di questi posti. Naturalmente una volta trovata la materia prima occorre lavorarci seriamente sopra. In linea generale inoltre è meglio battere il ferro fin che è caldo, quindi meglio cominciare subito con carne fresca. Bambini dagli 8 ai 12 anni sono ideali. Questi bambini inoltre devono già essere sgrossati, quindi sono spesso in parte già pronti alla formazione mirata grazie alla famiglia. Famiglia si fa per dire poiché spesso il padre è in galera, la mamma non c’è perché vive da un’altra parte, dove si prostituisce o si fa di crack e loro sono con la nonna che vive con uno sconosciuto che a volte può capitare che abusi di loro. Queste sono situazioni che purtroppo, insieme ai miei collaboratori, osservo tutti i giorni dove opero, ovvero le favelas di Rio.
Quando un bambino di questi arriva a otto, dieci o dodici anni di solito lo ha fatto vivendo per la strada e per qualche ora in una scuola pubblica (se ci va) dove raramente riescono a insegnargli veramente qualcosa. Succede, ma la qualità didattica è bassissima. Quando non è né per strada, né a scuola si trova in un buco da ratto sottoterra, dove magari dorme con il nonno, la zia e cinque fratelli. È difficile chiamare casa una caverna umida e buia, piena di topi e scarafaggi, senza finestre, comunque è qui che uno come Pedro (nome di fantasia, ma il ragazzo è vero e frequenta il nostro centro) vive. Di ragazzi come lui in Brasile e altri paesi del Sudamerica ce ne sono a decine di milioni.
In questo vivaio senza fine i trafficanti vecchi (di solito 25 anni non di più, poiché è quella l’età media a cui si arriva, visto che generalmente sarà una pallottola nella schiena che presto porrà fine alle loro pene) attingono senza ritegno, con la possibilità di trovarci spesso anche persone in gamba e intelligenti, anche se distrutte dalla totale mancanza di valori positivi, amore ed educazione.
Questi ragazzini, anche grazie all’aiuto dei media e del consumismo ormai sfrenato, crescono senza altri miti che il denaro e il possesso. Col denaro si possono avere telefonini scintillanti, occhiali a specchio, belle ragazze, droga, belle auto, divani in raso rosso e catenazze d’oro, con un bel pendaglio luccicante a forma di dollaro! Non riescono a percepire con esattezza che, oltretutto, tutte queste cose se le dovranno godere per lo più nella loro miserabile favela di baracche, poiché, perennemente braccati dalla polizia, non potrebbero starne fuori a lungo.
All’inizio pensano solo di spacciare e di fare i duri con i revolver e i mitra (che a volte, siccome sono piccoli, gli slogano la spalla per il rinculo). Poi le cose cambiano, rapidamente. È qui che entrano in gioco i veri duri più grandi che insegnano loro come si uccide un uomo. “Forza! Fai vedere chi sei! Non avrai mica paura di spargere il cervello di quello scarafaggio per terra! Spara!”. Così, nella obnubilata speranza di diventare veri uomini, sparano.
È frequentissimo, nelle favelas più violente o nelle periferie abbandonate di metropoli come Rio o San Paolo, trovare ragazzi che a sedici anni hanno già ucciso, venti, trenta volte. Poliziotti pronti a tutto, anch’essi violenti, quando non sono corrotti e conniventi con i trafficanti, possono ritrovarsi a cinquant’anni a vedersi sparare addosso da un bambino di dodici. Devono rispondere al fuoco secondo voi?
Ma concorrono anche numerosi altri fattori. Come per esempio, secondo alcuni psicologi, la bassa autostima, alimentata dalla ancor più bassa considerazione di cui questi ragazzini godono al di fuori delle loro comunità. Succede allora che a un certo punto, stanco di non essere mai guardato in faccia da nessuno, come se non esistessi, puntare una 38 special in faccia a un ricco ti darà sollievo, poiché lo costringerà a darti retta, anche se sarà più facile che lo sguardo sia ossessivamente puntato contro la canna della pistola. Capiterà senz’altro che uno sguardo fugace passi sugli occhi del rapinatore, per valutare quante siano le probabilità che possa premere davvero il grilletto. Sarà sufficientemente accettabile per sentirsi qualcuno.
Concorrono anche fattori ideologici. Nelle favelas, dove religioni e ideologie c’entrano poco, esiste però il senso di appartenenza a sorte di bande/sette, come Ada (Amigos dos Amigos), Adi (Amigos dos Inimigos), Comando Vermelho. Molti di questi ragazzini chiudono per sempre il contatto, anche verbale, con il mondo cosiddetto civile. Sono come adepti fanatici. Crack, cocaina, merla, onda maxima, e altre nuove droghe create in continuazione, aiutano moltissimo in questo processo di immersione in un buio sempre più profondo.
Nessuno sa più cosa fare, anche perché la posta in gioco è altissima: è la morte. Chiunque osi banfare rischia grosso. Trafficanti, terroristi e affini vengono creati quotidianamente da quel vivaio enorme che sono i milioni di bambini abbandonati soprattutto dall’amore e dall’educazione, in tutto il mondo. Le luci della città piacciono anche a loro. Non c’è nessuno a insegnare loro che potrebbero essere raggiunte in altri modi, o che ci sono ben altre luci alle quali anelare.
Invece a 12 anni puoi essere il capo di un gruppo di una decina di piccoli trafficanti, e quando crescerai potrai conquistare potere su fasce sempre più ampie di territorio, con la galera a singhiozzi, fino alla fine, la quale non si farà aspettare molto a lungo. Le sparatorie feroci con la polizia, o tra bande, in alcune favelas e periferie, sono quotidiane. Raramente, qualcuno farà di tutto per uscire dal gorgo a qualsiasi costo.
Per tale ragione quando troviamo un bambino come Pedro ci sembra un miracolo da curare. Visto che fa di tutto per studiare, meditare, giocare, essere normale. Pietre preziose in un mare di rifiuti.
La fonte di quanto ho scritto è l’osservazione diretta (vivo di fianco a una favela e opero nelle favelas) e la continua frequentazione di ragazzi brasiliani che nelle favelas ci vivono e ci lottano.
Foto di ©Rogerio Barros