Le prese di posizione contro i tagli? “Stravaganti“. L’ex sindaco Matteo Renzi se la prende con i sindaci, a partire da quello di Torino, nonché presidente dell’Anci, Piero Fassino. I primi cittadini sono rei di aver protestato contro i ventilati tagli al trasporto pubblico locale e alle partecipate che gestiscono il ciclo dei rifiuti e contro la local tax prossima ventura. Ma soprattutto contro il decreto, in fase di preparazione, che ripartisce i mancati trasferimenti (o per meglio dire prelievi) da 1,2 miliardi previsti dalla manovra per il 2015. “Incontreremo prima di venerdì i Comuni e se c’è bisogno anche le Regioni, ma ribadisco: non ci sono tagli per il 2015. Punto. Che poi nel 2016, 2017 e 2018 la revisione della spesa debba continuare è un dato di fatto. In ogni caso la discussione con i sindaci è su 600 milioni (il riferimento è alle razionalizzazioni di spesa legate al passaggio delle funzioni delle Province, ndr) contro 18 miliardi di tagli di tasse”, ha tagliato corto il premier durante la conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri che ha dato il via libera preliminare al Documento di economia e finanza. Quanto alle città metropolitane “è chiaro che hanno dei tagli se si ragiona sul budget della provincia. Con la nuova legge la città metropolitana non è l’istituzione che prende ‘tout court’ i soldi che avevano le province, si deve cambiare mentalità”.
Un passo indietro: per effetto della riforma Delrio, che ha abolito gli organi elettivi delle province, dall’1 gennaio competenze e poteri delle province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria e Roma sono stati trasferiti alle corrispondenti città metropolitane, note anche, in burocratese, come “enti territoriali di area vasta”. In questo modo però i sindaci si sono ritrovati sul groppone anche eventuali debiti e contenziosi delle ex province. Per esempio nel 2014 la provincia di Torino, allora guidata da Antonio Saitta, per affrontare l’emergenza alluvione non ha rispettato i paletti previsti dal patto di stabilità interno. E ora a pagarne le conseguenze è il sindaco l’ex segretario dei Ds Fassino, il quale però non ci sta. Ma secondo il presidente del Consiglio le sue pretese sono irrealistiche: “È del tutto naturale che un amministratore di città metropolitane, come ad esempio Fassino, dica: ‘Ehi, perché io devo avere una Città metropolitana che si trova costretta a scontare il fatto che la Provincia di Torino l’altr’anno ha sforato il patto di Stabilità? Allora qualcuno dice che dobbiamo eliminare le conseguenze della violazione del patto. Ma se facciamo questo, poi con che credibilità andiamo dagli altri sindaci che il patto non lo hanno violato?”.
Fassino ha risposto a stretto giro ricordando che, appunto, “la violazione del patto di stabilità a cui si è riferito il presidente del Consiglio nel corso della sua odierna conferenza stampa è stata una scelta non della Città metropolitana ma dell’amministrazione provinciale precedente. Semmai la Città metropolitana di Torino ne eredita oggi le negative conseguenze, senza peraltro alcuna responsabilità“. E non si tratta di un caso isolato: “Tutte le città metropolitane”, ha ricordato martedì il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, “hanno ereditato debiti rilevanti, solo a Milano si parla di 142 milioni. E’ evidente che tutto questo è inaccettabile così com’è evidente l’importanza che devono avere queste istituzioni, che possono essere fonte di sviluppo per il Paese. Non chiediamo nulla di più di quanto è giusto chiedere”. Per Pisapia, le richieste dei sindaci sono “ragionevoli” e “tengono conto dei tagli fatti finora ai Comuni. E’ un problema di equità e giustizia. Se non ci saranno risposte ragionevoli, prenderemo le nostre decisioni, tutti insieme”.
Tra due giorni ci sarà un incontro sul tema tra tutti i sindaci delle città metropolitane. Sarà lì che i primi cittadini decideranno come reagire alle decisioni dell’esecutivo. Per ora, la tensione è altissima e la levata di scudi è trasversale. Tanto da coinvolgere anche l’ex vice di Renzi e suo successore a Palazzo Vecchio, Dario Nardella, che ha definito “insostenibile” il taglio di 26 milioni di euro previsto dall’accordo raggiunto il 31 marzo in Conferenza Stato-Regioni: si tratta del “taglio più grande di tutta Italia. Stiamo parlando del 23% del bilancio. Qualunque azienda con un taglio al budget di un quarto non sarebbe in grado di sopravvivere”, ha lamentato nei giorni scorsi Nardella, definendo “insopportabili” anche le sforbiciate che colpiranno Roma (87 milioni) e Napoli (65 milioni).
Nel frattempo per altro anche le Regioni hanno avvertito il governo di essere pronte a mobilitazioni: il presidente della Conferenza che le riunisce, Sergio Chiamparino, ha messo le mani avanti dicendo che “non possono più dare nulla”: “Ancora non abbiamo trovato l’intesa sui tagli della precedente legge di stabilità (il riferimento è ai lavori in corso per definire il riparto della sforbiciata alla sanità, ndr) – Sarebbe paradossale pensare a nuovi tagli”. Preoccupato anche il vicepresidente della Conferenza delle Regioni e governatore della Campania Stefano Caldoro: “Con le Regioni siamo impegnati in prima linea con responsabilità e non è mai mancato il nostro contributo. Ma è evidente che su sanità e trasporti non si possono fare altri tagli e non si possono penalizzare i cittadini e il nostro compito è impedirlo”. Più duro il leghista Luca Zaia: “E’ vergognoso pensare di risolvere i problemi continuando a tagliare, senza colpire gli spendaccioni e chi spreca. Se si continua così per il Veneto si hanno più di 200 milioni di tagli sulla sanità e siamo la Regione benchmark nazionale”, ha rivendicato il governatore del Veneto. “Siamo di fronte a un governo che non ha il coraggio di applicare i costi standard. Prima tutti si adeguino ai costi standard, poi ne parliamo”.