Il premier manda messaggi di ottimismo e nega che il governo intenda mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Ma le bozze del documento prevedono una stretta sulle pensioni di invalidità e sforbiciate alle detrazioni ed esenzioni fiscali. Il che si tradurrà indirettamente in un aumento delle imposte. La spending review dovrebbe valere 10 miliardi, altri 6 arriveranno dalla clausola europea sulle riforme strutturali
“Non ci sono alla vista né aumenti di tassazione né tagli alle prestazioni che i cittadini ricevono. C’è bisogno di dimagrire un po’ per la macchina pubblica, ma se i sacrifici li fa la politica per me non è un problema. Se salteranno poltrone nelle partecipate io quello lo considero un beneficio per i cittadini, non un sacrificio”. Così Matteo Renzi, al termine del Consiglio dei ministri, ha presentato le linee guida del Documento di economia e finanza, il principale strumento della programmazione economica e finanziaria del Paese, su cui si baserà la prossima legge di Stabilità. Il testo, in cui la crescita del Pil per quest’anno viene stimata “prudenzialmente” in un +0,7%, prevede che dallo sforzo di revisione della spesa a cui ora lavorano i nuovi commissari Yoram Gutgeld e Roberto Perotti derivino almeno 10 miliardi di euro, “ma c’è spazio per tagliarne 20”.
Il premier ha garantito che le famigerate clausole di salvaguardia, quelle che l’anno prossimo avrebbero potuto determinate un aumento dell’Iva e delle accise da quasi 17 miliardi, “saranno superate. Abbiamo disattivato quelle da 3 miliardi che avevano previsto i governi precedenti (l’esecutivo Letta, ndr)”. Ma anche quelle inserite nella manovra firmata da lui stesso, quella per il 2015. Questo Renzi l’ha omesso. In compenso ha rivendicato che “nel complesso, nel 2015 abbiamo ridotto le tasse per 18 miliardi di euro: 10 dagli 80 euro e 8 dai provvedimenti sul lavoro. E ora dobbiamo aggiungerci anche i 3 miliardi di clausole di salvaguardia. Poi possiamo fare di più, diminuirle. Se saremo nelle condizioni le ridurremo nel 2016. Ma nessuno dica che aumentano”. Pronta la conferma del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che ha spiegato che le clausole di salvaguardia saranno disinnescate in parte con la spending review, in parte – speriamo bene – “automaticamente grazie ai benefici della crescita” e alla spesa per interessi sul debito pubblico inferiore alle previsioni. Il presidente del Consiglio ha infine tenuto a ribadire per l’ennesima volta che il bonus Irpef è considerato a livello contabile una maggiore spesa e non un taglio delle tasse, il che “dà fiato alle trombe di chi dice che c’è un aumento delle tasse”, i soliti “gufi”, “ma chi sta a casa sa che non è così, i cittadini sanno che non cosi”. Dire il contrario, ha aggiunto, “è un controsenso per i cittadini”.
Il via libera definitivo venerdì. Dalle bozze emergono 10 miliardi di spending review – Al di là degli annunci e dell’usuale ottimismo renziano, e in attesa di leggere nel dettaglio i contenuti del documento che otterrà il via libera definitivo venerdì, le bozze circolate nei giorni scorsi permettono di farsi un’idea di come il governo conta di scovare i fatidici 16,8 miliardi necessari per evitare che scattino gli aumenti automatici di Iva e accise e conservare anche un margine da destinare eventualmente alla riduzione della pressione fiscale: un combinato disposto di tagli alla spesa pubblica, risparmi sugli interessi pagati per finanziare il debito pubblico e ricorso ai nuovi criteri di flessibilità europei. Renzi e Padoan useranno innanzitutto le forbici su detrazioni, deduzioni ed esenzioni fiscali con l’obiettivo di riportare in cassa almeno 1,5 miliardi. Altrettanto dovrà arrivare da una riduzione degli incentivi alle imprese. Due miliardi di risparmi sono attesi poi da una razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi: l’esecutivo torna alla carica sulle centrali di acquisto con l’intenzione di portarle da 32mila a 35. Regioni e aziende sanitarie saranno chiamate ad adeguarsi ai costi standard, come i Comuni stanno già iniziando fare. E gli enti locali – già sulle barricate – si vedranno ridurre trasferimenti e sussidi destinati al trasporto pubblico e alle partecipate che gestiscono la raccolta dei rifiuti. L’altro capitolo fondamentale è costituito dalle misure contenute nel disegno di legge delega di riforma della Pubblica amministrazione: dall’eliminazione della Forestale alla riorganizzazione di Prefetture e altre strutture periferiche dello Stato. Infine è alle viste una stretta sulle pensioni di invalidità, che in alcune province hanno raggiunto livelli patologici sia come numero sia come spesa complessiva.
Giù gli sgravi fiscali. Ovvero aumentano le tasse – Dato che la coperta è corta, per scongiurare il rischio di un aumento delle tasse di fatto l’esecutivo le alza in forma mascherata. Nel senso che circa 1,5 miliardi di risparmi arriveranno dalla riduzione delle cosiddette tax expenditures, cioè i 720 tra sconti e agevolazioni di varia natura che oggi vanno a ridurre il gettito complessivo. Stando alla ricognizione fatta nel 2011 dal gruppo di lavoro presieduto dal sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, ogni anno ne deriva per lo Stato una perdita di entrate pari a 253 miliardi di euro. Ora il governo vuole razionalizzarle cancellando quelle ingiustificate o superate. Un riordino previsto già nella delega fiscale che, al di là dell’opportunità, andrà a pesare direttamente sulle tasche dei cittadini. Anche se saranno fatte salve le detrazioni Irpef per lavoro dipendente e da pensione o per familiari a carico.
Meno incentivi per le imprese – Il Def interviene anche, in modo corposo, sugli incentivi alle imprese. Una giungla: in base al rapporto del gruppo di lavoro sulla materia coordinato da Carlo Cottarelli gli “interventi agevolativi”, tra nazionali e regionali, sono 845, per un esborso complessivo che stando alle ultime rilevazioni (2012) si aggira sui 3,6 miliardi. Ma l’economista Francesco Giavazzi, nel rapporto ad hoc messo a punto nel 2012 per il governo Monti, ha evidenziato che se si considerano anche gli incentivi all’agricoltura e al commercio, i crediti di imposta, il bonus occupazionale e una lunga lista di aiuti settoriali il risparmio potenziale sale a 10 miliardi. Renzi e Padoan puntano a tagliarne, stando alla bozza, circa 1,6.
Partecipate di nuovo nel mirino. A partire dal trasporto pubblico locale – In principio fu Cottarelli, convinto che si potessero tranquillamente ridurre da 8mila a 1000 risparmiando a regime 2-3 miliardi. Dopo l’addio del commissario, la legge di Stabilità ha stabilito che gli enti locali e gli organi di vertice di tutte le amministrazioni a cui fanno capo società partecipate dovessero presentare entro il 31 marzo un piano di razionalizzazione. Per ora non è dato sapere quanti abbiano provveduto (da notare che non erano previste sanzioni per gli inadempienti). Nel frattempo il governo torna alla carica stabilendo che alla luce di quei piani saranno messi in cantiere interventi legislativi mirati per ridurre il numero delle aziende. L’operazione si intreccia però con l’esame parlamentare del ddl di riforma della Pa, in cui sono state inserite norme sul commissariamento delle partecipate in rosso e paletti che dovrebbero favorire la razionalizzazione del sistema. Per prima cosa occorre che la delega diventi legge e solo dopo il governo potrà tradurla in pratica con i decreti attuativi. Gli interventi prioritari, stando alle bozze del Def, sono quelli su trasporto pubblico locale e gestione del ciclo dei rifiuti. Sul primo fronte è atteso ormai da mesi un disegno di legge ad hoc, che stando alle anticipazioni fisserà i costi standard del servizio, introdurrà penalizzazioni per le Regioni che non lo mettono a gara e incentiverà la bigliettazione elettronica per ridurre il fenomeno dei “portoghesi”.