Televisione

“I Pazzi siete voi”, i boss e la follia tra finzione e verità in docufilm del ciclo Diario Civile

Da Agostino Badalamenti, che si finse pazzo e fu promosso capomafia, a Leonardo Vitale, il primo pentito di Cosa Nostra bollato come "pazzo" e quindi rinchiuso in manicomio: la storia delle mafie è piena di casi in cui perizie di psicologi compiacenti garantivano la libertà a killer e uomini d'onore

di Giuseppe Pipitone

Aule di tribunale che sembrano sale d’aspetto di laboratori medici, boss mafiosi che vogliono essere assistiti dalla madre dopo l’arresto, killer di Cosa nostra che dicono di essere Napoleone. Sono decine di casi che raccontano come pericolosissimi boss di Cosa nostra, camorrabanda della Magliana, siano riusciti ad ottenere perizie psichiatriche compiacenti per ottenere sconti di pena e agevolazioni carcerarie. Criminali si nasce o si diventa? È c’è un trait d’union tra la follia con il comportamento criminale? Due interrogativi che impegnano da sempre scienziati e studiosi, e che sono l’oggetto de “I Pazzi siete voi”, il documentario del ciclo “Diario Civile”, in onda l’8 aprile alle 21 e 30 su Rai Storia.

“C’è stata una stagione tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, in cui l’ospedale psichiatrico giudiziario era una sorta di hotel nel quale trovavano rifugio i più importanti boss ed esponenti della malavita, e ciò poteva avvenire solo grazie a delle perizie compiacenti” ricorda lo scrittore Giancarlo De Cataldo, nel documentario di Alessandro Chiappetta e Graziano Conversano, introdotto dal procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti.

“Il mafioso è un matto che finge di essere matto per poter continuare la propria follia” è l’analisi del giornalista Enrico Bellavia. “È accertato come una perizia psichiatrica favorevole fruttasse a periti compiacenti fino a 150 milioni di lire” racconta invece lo psichiatra Corrado De Rosa. Un esempio su tutti, quello di Aldo Semerari, psichiatra, luminare, estremista nero, ucciso perché elargiva perizie fasulle a boss della Camorra in contrasto tra loro.

“Io sono pazzo ma pazzo intelligente” era il biglietto da visita di Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova Camorra Organizzata che riesce a farsi trasferire nel manicomio giudiziario di Aversa, ed evade il 5 febbraio del 1978, dopo aver fatto saltare in aria mezzo edificio. “La mia non fu evasione, al massimo un rumoroso allontanamento” ghignava Cutolo, dopo essere finito nuovamente in carcere. E se l’utilizzo della follia è particolarmente di moda nei ranghi della camorra, più complesso è quello che succede all’interno di Cosa Nostra, dove il bollo di “pazzo” viene assegnato ai nemici dell’organizzazione criminale. È il caso del magistrato Cesare Terranova, indicato come infermo mentale da Luciano Liggio (condannato poi come mandante dell’omicidio del giudice il 25 settembre del 1979), ma soprattutto di Leonardo Vitale, il primo vero pentito della storia di Cosa Nostra, che iniziò a collaborare nel 1974, ma fu considerato infermo di mente, internato nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, e quindi assassinato nel 1984.

Dopo la seconda guerra di mafia, che vide i corleonesi massacrare le vecchie famiglie mafiose dei palermitani, anche Cosa Nostra iniziò ad utilizzare la follia come passepartout per uscire di galera. E nonostante sia umiliante recitare la parte dell‘infermo di mente, l’escamotage che beffa le forze dell’ordine viene poi premiato dall’associazione criminale. È il caso di Agostino Badalamenti arrestato alla fine degli anni ’70 dopo un omicidio nei pressi di una cabina telefonica. “Dovevo fare una chiamata, lui perdeva tempo, allora io l’ho ucciso”, è l’esordio del picciotto davanti agli increduli carabinieri. Vent’anni di carcere e manicomio criminale, quindi la scalata: nel 2003 è lo stesso Badalamenti ad essere scelto da Bernardo Provenzano come reggente dell’importante famiglia di Porta Nuova. A giocare con la sanità mentale però c’è anche chi ha rischiato grosso: Balduccio Di Maggio è il pentito che secondo il Ros dei Carabinieri avrebbe riconosciuto Totò Riina, collaborando in maniera determinante all’arresto del capo dei capi. Durante il suo periodo di collaborazione, però, il picciotto di San Giuseppe Jato torna a delinquere, evade dal sistema di protezione testimoni, e ricompare in Sicilia, dove elimina alcuni personaggi legati al clan di Giovanni Brusca, suo avversario. Scatta nuovamente l’arresto, ma Di Maggio inizia a recitare la parte del pazzo: una recitazione talmente realistica che ad un certo punto il boss si ammala davvero, non riesce più a camminare, gli stessi periti certificano che la bufala della follia ha definitivamente gettato nel caos il suo equilibrio mentale.

Twitter: @pipitone87

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