La partita comincia con un minuto di raccoglimento per commemorare le vittime del mare. A Lampedusa, intanto, il mare è ancora grosso, risulta difficile per chiunque recuperare quei corpi vivi e morti della carretta che si è rovesciata. Sulla terraferma è scambio di opinioni tra Letta, Barroso e le autorità isolane: alla fine le istituzioni preferiscono costernarsi davanti alle vittime restando confinate nella base aeronautica, alimentando il disappunto, l’antipatia e l’odio di chi su quel cazzo di scoglio ci vive, ci soffre, ci spera. I pescatori, amareggiati, hanno promesso ai massimi rappresentanti di Italia e Ue di coprire i loro vuoti discorsi con il suono assordante delle sirene dei loro pescherecci. Di chiacchiere sull’isola ne hanno sentite fin troppe. Sono stanchi. E quando si è stanchi, alla fine si muore anche dentro. Sempre. Il Trapani decide che la metà campo nerazzurra debba essere una tonnara. Il Latina non ci sta a fare la fine del tonno ma nel giro di undici minuti i gialli sventolati sotto il naso di Alhassan, Brosco e Crimi. Sarà un match di passione (…) Avverto le sirene del mare. Non credo che siano i pescherecci solidali con quelli lampedusani incazzati con Barroso e Letta.
Attraverso le peripezie di un cronista depresso e disilluso, alla ricerca di se stesso, che segue il Latina in giro per l’Italia, di un grottesco cuoco-detective che ha trasformato il suo pied à terre meneghino in un ristorante durante le pause pranzo e in un covo da investigatore privato negli orari d’ufficio, costretto dagli scherzi della vita a tifare per la Pro Patria e il Sassuolo, e di una donna benestante alla ricerca dell’assassino della sorella, si snoda questa vicenda che è un inno al gioco del calcio visto come linguaggio universale, il calcio come aggregatore sociale, il calcio sano, visto allo stadio, di chi odia streaming, la Champions League, i club blasonati, i disgustosi teatrini dei ‘tifosi’ delle ‘grandi’, di quelli abituati a essere sempre davanti ai teleschermi. Insomma il calcio della gente comune, di chi identifica la squadra amata con la propria città, incurante delle categorie, abituato a inghiottire i sogni.
Molto prima del calcio di rigore ha anche il merito di raccontare l’attualità e la crisi che l’Italia, e non solo, sta vivendo in questi anni. I personaggi parlano senza peli sulla lingua e così fa l’autore, tra le righe, facendosi cantore di un malcontento generale che ormai sta infestando con il suo nefasto odore ogni luogo: curve comprese.
Il Francioni, come previsione, è pieno come un uovo. Gradinate e poltroncine sono macchiate di nero e azzurro. Gli eroi nerazzurri giocano col lutto al braccio, ma la Lega non vuole saperne del minuto di silenzio per commemorare le giovani morti che hanno colpito una società piccola come Latina. A maggio 2013 in tutti gli stadi d’Italia per Giulio Andreotti sono stati ordinati sessanta secondi di riflessione per onorarne la memoria, senza pensare che la sentenza definitiva della Cassazione di Palermo per l’affaire Stato-mafia fosse arrivato entro il 20 dicembre 2002 (termine per la prescrizione), il senatore a vita sarebbe stato condannato in base all’articolo 416, ma evidentemente per le morti innocenti e improvvise deve bastare il cordoglio senza investitura ufficiale.
Il romanzo è dedicato a Mwepu Ilunga, lo sfortunato giocatore dello Zaire passato alla storia non per aver segnato una rete ma per un’ammonizione guadagnata, ai Mondiali del 1974 in Germania, per aver calciato una punizione al posto dei brasiliani che ne usufruivano.Una scena comica, immortalata negli anni da diversi comici da televisione, una scena che conoscendone i retroscena mette i brividi: nello Zaire di Mobutu Sese Seko si veniva trucidati o incarcerati per molto poco, e l’ansia di essere guardati dal dittatore poteva mettere una discreta dose di agitazione a un ragazzo della provincia sud orientale dell’Haut-Katanga.
Questo libro è così, pieno di gustosi e intensi episodi poco reclamizzati nel mondo del calcio dei vip. Un romanzo che ridà dignità agli umili. Ai tanti umili, perché se ci sommate tutti (e mi ci metto anche io, tifoso della Spal, altra squadra magnificamente malinconica), noi che non abitiamo a Torino, o Milano, o Roma, e cocciutamente continuiamo a supportare le squadre delle nostre città, siamo molti di più dei tifosi dei ‘grandi’ club. Molti di più. Come diceva Cyrus, leader della banda dei Riffs, all’inizio de The Warriors: “Vi siete contati, ragazzi? Io dico che il futuro è nostro se voi riuscite a contarvi”. Probabilmente sì, ma ci interessa davvero un futuro in streaming o preferiamo la realtà, la passione, le bestemmie nel nostro dialetto, gli amici di una vita, a sudare o a morire di freddo in scalcinati stadi di provincia?