È un’orchestra stanziale che nasce a Roma, il cui nome è un chiaro riferimento alla stazione della Capitale, punto d’incontro quotidiano tra migliaia di persone: “Come la musica del resto, che è l’incontro tra culture, tra suoni e sentimenti. L’orchestra nasce come punto di ritrovo tra musicisti di varie esperienze, il nostro repertorio è variegato, perciò l’etichetta di orchestra jazz è un po’ riduttivo, catalogante”.
Prova ne è il nuovo Ep da poco registrato, un tributo al grande chitarrista rock Jimi Hendrix, ispirato al disco The Gil Evans Orchestra Plays the Music of Jimi Hendrix, album che contiene riletture in chiave jazz di celebri brani di Hendrix con arrangiamenti a opera di Gil Evans: “È un disco con il quale abbiamo voluto omaggiare Hendrix perché questo straordinario artista va scoperto attraverso la sua musica e quell’atmosfera nella quale la sua musica fu composta”.
Il disco Hendrix Project, caratterizzato dagli ottimi arrangiamenti in chiave jazz, vede la collaborazione del celebre chitarrista statunitense Mike Stern e tra i brani proposti figurano Foxy Lady, Castle Made of Sand, Voodoo Child e Little Wing, oltre a un brano originale scritto dal maestro Blatti.
Maestro Blatti, qual è il motivo di questa rilettura di Jimi Hendrix?
Uno dei compositori di riferimento della Roma Termini Orchestra, proprio per la sua caratteristica di orchestra aperta alle sensazioni ma anche alle ispirazioni del momento, è Gil Evans, che ho avuto anche la fortuna di vedere dal vivo a un’Umbria Jazz nel 1987. Rimasi molto colpito nel vedere che i musicisti non avevano spartiti, nulla di scritto, ma tutto era improvvisato sul momento. Sull’ascoltarsi l’uno con l’altro: si creava in questo modo una sorta di magma sonoro che prendeva forma, strade particolari mai preordinate sorte grazie alla maestria e al genio di Evans. Gil Evans aveva un debole per Jimi, avrebbero anche dovuto entrare in sala di incisione insieme proprio il giorno in cui Hendrix morì. Svanito il sogno, Evans incide in seguito The Gil Evans Orchestra Plays the Music of Jimi Hendrix un disco pubblicato dall’etichetta Bluebird RCA nel 1974. L’album contiene riletture in chiave jazz di celebri brani di Jimi Hendrix con arrangiamenti a opera di Evans e della sua orchestra composta da 19 elementi. È un disco che abbiamo voluto omaggiare con questo Hendrix Project.
Nel disco c’è anche una prestigiosa collaborazione col chitarrista statunitense Mike Stern.
Sì, ci sono grandi ospiti, tra cui Mike Stern: è un mito quello che vede i musicisti americani come inarrivabili. È bastato contattarlo tramite social network, si è rivelato molto gentile, sorridente… un grande artista, una persona speciale. I grandi di solito sono molto umili.
Come è avvenuta la scelta dei brani da coverizzare?
È stata un’operazione molto semplice, anche perché come punto di riferimento avevamo quel famoso disco di Evans. Tra i brani ce n’è anche uno originale che ho scritto io.
Quali sono le ambizioni legate al disco?
Ormai i dischi non si vendono più, questo per noi, rappresenta una testimonianza. Lo scopo è quello di portarlo in giro ed esibirci davanti a più persone possibili.
Quanto spazio date all’improvvisazione?
Ha lo spazio principale, la Roma Termini Orchestra ha musicisti che sono bravissimi solisti, ed essendo jazz, l’orchestra suona quello che non c’è, seguendo il consiglio di Miles Davis. In fondo, sta lì l’essenza del genio. Intendeva, ovviamente quello che non c’è scritto.
Improvvisare sulla musica di Hendrix è stato facile?
Quel che c’è da sapere è che vi sono codici nella musica di Hendrix, che musicisti preparati riescono a decodificare e credo che a noi sia riuscito bene.