Due anni fa l’aveva annunciata in diretta televisiva come punta di diamante della sua rivoluzione: “La Sicilia abolirà le province”, aveva detto entusiasta il governatore della Sicilia Rosario Crocetta ai microfoni di Raiuno. Ventiquattro mesi dopo l’entusiasmo è svanito: l’Assemblea Regionale Siciliana ha infatti bocciato il disegno di legge che completava l’eliminazione delle province sull’isola, trasformandole in sei liberi consorzi tra comuni, più tre città metropolitane (e cioè Palermo, Messina e Catania). Due anni di discussione, una legge rivista più volte e approvata nella prima parte nel marzo dell’anno scorso, non sono bastati a Crocetta per completare la prima vera riforma del suo governo: il Parlamento ha infatti approvato con il voto segreto l’emendamento presentato dal Movimento Cinque Stelle, che prevedeva la soppressione dell’articolo 1 del disegno di legge per l’abolizione degli enti intermedi.
Si tratta in pratica della soppressione della parte fondamentale del testo di legge, che rende quindi inutile qualsiasi discussione sugli altri 46 articoli della norma. Una vera e propria disfatta dato che a votare per la cancellazione della riforma, ben protetti dall’anonimato, sono stati ben 36 parlamentari, contro i 22 fedeli al governatore: la maggioranza insomma implode sotto i colpi dei franchi tiratori. “Questa legge non piace nemmeno a chi l’ha presentata” è il commento ironico di Nello Musumeci, leader del centrodestra. Amara è invece l’analisi del segretario regionale del Pd Fausto Raciti, che chiama a rapporto il governatore: “Il voto dell’Ars – dice Raciti – lascia un segno in questa legislatura, bisogna aprire una riflessione molto seria. A questo punto serve un vertice di maggioranza alla presenza del presidente Crocetta: ci si deve guardare negli occhi, ognuno si deve assumere le proprie responsabilità”.
La disfatta della maggioranza in pratica catapulta il governo siciliano in un vero e proprio dramma: il governatore, infatti, aveva ‘pompato’ sui media la sua riforma, rifiutando di applicare anche in Sicilia il decreto Delrio, utilizzato nel resto del Paese per eliminare gli enti intermedi. L’originale bozza di legge era diventata oggetto di contrattazione tra le varie forze della maggioranza, fino ad arrivare alla versione approdata a Sala d’Ercole: un ddl che secondo l’opposizione era pieno di falle, a cominciare dalla norma che prevedeva un’indennità suppletiva per i presidenti dei liberi consorzi, in pratica un bonus in busta paga, dato che a guidare i nuovi enti intermedi sarebbero stati i sindaci eletti dai colleghi degli altri comuni.
Ma non solo: ad essere contestata dall’opposizione anche la scelta di far gestire le scuole, un tempo affidate alle province, direttamente ai comuni, notoriamente schiacciati dal patto di Stabilità. “Cosa intende fare la Regione per il deficit strutturale del quale soffrono le nove province, che tocca i 140 milioni, cui si aggiungeranno i circa 120 milioni annui dovuti al patto di stabilità per il quale i consorzi dovranno partecipare al risanamento delle casse dello Stato? Non si è, inoltre, tenuto conto del personale, già messo in salvo nelle rimanenti 19 regioni: in Sicilia, non potrà essere assorbito neanche dai comuni, i quali hanno già 14mila precari”, è l’attacco firmato dal Nuovo Centrodestra di Giuseppe Castiglione, fedele alleato del Pd di Matteo Renzi a Roma, ma feroce oppositore di Crocetta a Palermo.
E siccome nelle prossime ore scadranno gli incarichi dei commissari inviati dal governatore a gestire la liquidazione delle province, l’ipotesi più verosimile è che nelle prossime ore l’Ars si riunisca per rinnovare i contratti dei commissari e non lasciare gli enti intermedi completamente allo sbaraglio. Poi si passerà a discutere la legge Finanziaria, dato che da Roma sarebbero arrivati i due miliardi di euro necessari per varare la manovra. Nel frattempo il governatore prova a spedire al mittente ogni responsabilità sulla batosta odierna. “Quanto è accaduto riguardo al ddl sulle Province, è semplicemente allucinante: spero che non sia occasione per attribuire al governo della Regione responsabilità che non ha”, scrive in una nota Crocetta, rinunciando per questa volta alla diretta televisiva.
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