Congiunzioni astrali: ci sono bottiglie di cui si smette di parlare. Qualche anno fa durante il primo e proficuo innamoramento per i vini naturali – che fu parallelo e in qualche modo determinante allo sviluppo di decine di blog enologici – era impossibile non imbattersi in un post dedicato al Chianti classico Le trame di Giovanna Morganti. Il suo modo tradizionale di intendere un territorio e un vitigno, tanto amato quanto spesso frainteso come il Sangiovese, l’ha resa involontaria protagonista di uno scontro allora aspro, ora ammorbidito dal potere delle mode, tra quelli del “basta che sia del contadino” e quelli del “ben vengano i naturali, ma il vino deve essere prima di tutto enologicamente perfetto, senza puzzette e difetti”.
Una guerra di religione di cui ancora oggi udiamo l’eco stonato. Più dei viaggi messianici in cantina, delle verticali, dei post adoranti, che oggi si ricorda più google che i tanti autori appassionati. Eppure i vini di Giovanna sono ancora un’espressione splendida, autentica e vigorosa delle potenzialità dei rossi toscani, il cui successo internazionale li ha spesso deformati in campioni di precisione, tutto legno, costanza e morbidezza.
In bocca è un trionfo di succo e beva. Carnoso, ricco, vivace, con un bel corpo e un’acidità sostenuta che lo rende longevo e dannatamente gastronomico. Specie se a Pasqua ci avete abbinato un diversamente vegano piatto di costolette di agnello. Insomma, se questo è un vino da 5, io sono il più grande centometrista mai esistito.