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Immigrati: ‘Aiutiamoli a casa loro’, tra Eni e corruzione

“Aiutiamoli a casa loro!”. Quante volte sarà capitato di sentire questa frase durante un dibattito politico sull’immigrazione? E chissà quante altre volte toccherà riascoltare personaggi politici del calibro di Matteo Salvini ripetere questo mantra credendo di aver trovato la soluzione ai flussi migratori. Peccato che la realtà ci dimostri come il progredito e civilizzato ‘mondo occidentale’ spesso scelga di aiutare questi Paesi corrompendo governi, depredando risorse e inquinando territori, per poi concedersi il lusso di chiudere le frontiere nascondendosi dietro politiche miopi e opportunistiche.

Ne rappresenta un esempio illuminante la graphic novel Soldi Sporchi, pubblicata a marzo di quest’anno grazie all’impegno e al lavoro di ricerca dell’associazione Re:Common, che nel 2011 aveva stilato il rapporto Il Delta dei Veleni e realizzato il video Oil for Nothing.

Edita dalla Round Robin con i disegni di Claudia Giuliani e grazie all’importante collaborazione con l’organizzazione The Corner House, questa graphic novel racconta la storia di Dotun Oloko, l’imprenditore nigeriano che nel 2009, durante la realizzazione di un documentario sull’allora governatore dello Stato del Delta, James Ibori, si è imbattuto in una enorme operazione di riciclaggio di denaro tra Europa, Usa e e Delta del Niger, che toccava anche istituzioni europee, fondi privati e programmi di sviluppo internazionale.

Da un rapporto della polizia nigeriana, Dotun Oloko aveva infatti scoperto che il fondo di private equity statunitense Emerging Capital Partners (Ecp) era citato come uno dei soggetti privati che avevano investito in alcune delle compagnie impiegate per riciclare i miliardi di Naira (moneta locale) rubati dalle casse pubbliche dall’allora governatore del Delta del Niger, James Ibori. Una scoperta resa ancora più importante dal fatto che numerosi governi occidentali erano investitori del fondo, attraverso la Banca Europea per gli investimenti (Bei) e il ministero per la cooperazione britannica, Department for International Development (Dfid), tramite il suo fondo di sviluppo (Cdc).

“Dopo la decisione di denunciare la scoperta ai finanziatori pubblici coinvolti nella vicenda per allertarli e cercare di fermare una delle più grandi frodi internazionali degli ultimi anni – spiega Dotun Oloko – il Dfid ha svelato la mia identità all’Ecp, cambiando per sempre la mia vita e quella della mia famiglia. Messi sotto sorveglianza da un investigatore privato ingaggiato dal fondo statunitense e minacciati da alcuni soggetti vicini al governatore Ibori, ancora oggi vivo con un sistema di allarme installato in casa dalla polizia britannica, che continua a garantirmi protezione. Anche in Nigeria posso tornarci solo per brevi periodi”.

La segnalazione si è conclusa con un nulla di fatto anche con le istituzioni europee, “dove l’organismo anti-truffa dell’Ue (Olaf), aveva concluso le sue indagini dopo quattro anni, sostenendo di non poter procedere con alcuna azione perché l’Unione Europea non aveva perso denaro a seguito degli investimenti in tale fondo”, si legge nella postfazione di Soldi sporchi firmata da Nick Hildyard (The Corner House). Una storia emblematica e probabilmente rappresentativa dei sistemi di controllo e delle priorità che gli organismi europei hanno scelto di darsi, con una strategia di politica energetica sempre più aggressiva e indulgente verso le aziende che operano nel settore.

Grazie anche alla denuncia di Dotun Oloko l’ex governatore del Delta del Niger nel 2010 venne arrestato dall’Interpool con svariati capi di imputazione, fra cui il riciclaggio di denaro e la truffa. Ma a distanza di cinque anni poco sembra essere cambiato in questo territorio, dove ogni giorno vengono estratti più di due milioni di barili di petrolio, ma la popolazione sopravvive con meno di un dollaro al giorno. Gli unici ad arricchirsi sono politici e faccendieri corrotti insieme alle grandi multinazionali del petrolio, fra cui primeggia anche l’italiana Eni, per un 30% di proprietà del governo, accusata insieme all’anglo-olandese Shell di aver pagato una mega tangente di oltre un miliardo di dollari al governo del Niger e a vari trafficanti nigeriani e italiani per ottenere la licenza del campo petrolifero offshore Opl245.

A ciò si sommano i devastanti effetti che i circa 50 anni di attività estrattiva hanno prodotto sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale, come spiega anche Dotun Oloko: “Corruzione, inquinamento, mancato rispetto delle leggi e persone che non possono più vivere dai prodotti della terra o dalla pesca perché i terreni e le acque sono oramai contaminati. Inoltre, le popolazioni locali non usufruiscono né dei posti di lavoro né delle ricchezze prodotte dall’estrazione del petrolio”.

È un business troppo redditizio – conclude Oloko – la corruzione dilaga e le agenzie e le istituzioni che dovrebbero controllare e intervenire fingono di non sapere cosa accada in questi posti. Anche il caso Eni in Nigeria rappresenta un chiaro esempio di agevolazione alla corruzione, dove il governo italiano ha fallito nel suo compito di monitorare, controllare e sanzionare l’Eni per la sua condotta nell’acquisizione del campo petrolifero Opl245″.

Quella stessa azienda a cui vengono ancora richieste le compensazioni previste per le comunità locali, la bonifica dei siti inquinati e l’interruzione delle attività di gas flaring, da tempo vietato dalla legge a causa dei drammatici effetti sull’ambiente e sulla salute delle persone.