Il dibattito sulle idee del presidente dell’Inps Tito Boeri è reso difficile da falsi presupposti e da emotività che rendono arduo un confronto razionale sull’argomento. Il segno più evidente di ciò sta nel tenore di taluni commenti leggibili sui social network da parte di giovani che avranno la loro pensione calcolata interamente con il sistema contributivo e che arrivano a definire ladro e criminale chi ha beneficiato o beneficerà anche parzialmente del calcolo retributivo della pensione.
Insulti infondati e che nascondono un errore concettuale gravissimo, perché le accuse di “furto” o di “crimini” implicherebbero che da parte dei pensionati ci fosse stata partecipazione, quantomeno colposa, nel processo di definizione delle regole, ma ovviamente ciò non è stato; gli unici che possono legiferare sulle proprie pensioni sono i parlamentari; gli altri si adeguano a quanto viene disposto per loro, nel bene e nel male.
Una sistematica campagna mediatica denigratoria che indica nei pensionati la parte parassitaria della popolazione, ha anche convinto che eventuali interventi di ricalcolo delle pensioni già in essere ristabilirebbero equità e metterebbero a disposizione dei più giovani risorse che gli anziani sono ritenuti volere egoisticamente trattenere.
Entrambe le idee mancano di fondamento; è ingenuo credere che un ricalcolo retroattivo sulle pensioni creerebbe equità: il sistema retributivo fu istituito nel 1969 e ha consentito in 41 anni di vita l’andata in pensione con regole che, con l’eccezione di alcuni redditi elevati (circa il 3% dei casi), sono state certamente più favorevoli del calcolo contributivo che si usava antecedentemente al 1969 e che è tornato in uso dal 1995 (parzialmente e per chi aveva meno di 18 anni di anzianità a quella data) e in modo definitivo nel 2011. Molti dei pensionati negli anni 70 hanno percepito una pensione retributiva per decenni e per erogare quelle pensioni, nel sistema a ripartizione, sono stati utilizzati i contributi dei lavoratori allora attivi e che oggi sono i pensionati (o prossimi pensionandi) che avrebbero “privilegi” da eliminare.
A meno di non avere una macchina del tempo con la quale risalire al 1969 e annullare la riforma di allora, il ricalcolare con il metodo contributivo le pensioni in essere significherebbe parificare gli attuali pensionati alle future generazioni, ma contestualmente riprodurrebbe in modo retroattivo la differenza tra gli attuali pensionati e i precedenti, ai quali il ricalcolo non si può applicare a meno di non voler chiedere… agli eredi, spostando indietro di una generazione la “iniquità”, con l’aggravante dell’intervento retroattivo su persone che, non allertate per tempo, non possono ormai pensare a forme di previdenza alternative. Peraltro, l’esonero delle pensioni più basse dal ricalcolo evidenzierebbe nelle stesse una quota di pura assistenza in quanto, non trovando più motivazione neppure formale in precedenti sistemi di calcolo generalizzati, il surplus retributivo/contributivo diverrebbe mero sussidio iniquo nei confronti di lavoratori dipendenti oggi attivi con basso salario; sarebbe equo assistere, sulla base del reddito, alcuni pensionati e non anche i lavoratori con pari entrate?
Detto di iniquità insopprimibili, anche l’idea del passaggio di risorse verso le prossime generazioni è completamente fantasiosa: nessuno tra i propositori del ricalcolo ha mai neppure lontanamente ipotizzato che un solo centesimo degli eventuali “risparmi” andrebbe a modificare lo schema previdenziale dei futuri pensionati; neppure Boeri lo fa e anzi ha detto chiaramente che il suo intento sarebbe di utilizzare le risorse a scopi puramente assistenziali; nulla quindi cambierebbe per le future pensioni, completamente contributive in ogni caso.
Al netto della disinformazione circolante sulla materia, è vero che ci sono state continue riforme del sistema pensionistico, in direzioni alternativamente permissive o restrittive, che hanno creato disomogeneità tra le generazioni di pensionati. Quando fu istituito il sistema retributivo a ripartizione la generazione allora già in pensione si trovò ad avere un trattamento peggiore di quello che, a pari condizioni contributive, avrebbero avuto i suoi figli; per decenni i pensionati e i loro figli hanno poi avuto lo stesso sistema fino alle riforme che hanno invertito lo schema, con pensioni future più basse di quelle in vigore (con l’eccezione dei redditi alti, favoriti dal contributivo).
In una giungla di modifiche, riforme, scalini e scaloni, l’unico possibile punto fermo, anche se suona indigeribile a molti, è il “non cambiare il passato” (a meno di una macchina del tempo) e questo principio, talvolta malamente espresso con l’allocuzione “diritti acquisiti” e giuridicamente applicato in tutte le materie, ha fondamento logico nel ritenere che le leggi precedenti avessero una loro ragione di essere e che quanto stabilito, sino al momento della loro variazione non possa essere oggetto di modifiche ex post. Infatti, nessuno si sognerebbe di andare a comminare una pena aggiuntiva a un reo che avesse subito una condanna, sulla base di una nuova legge che inasprisce le pene. E i pensionati neppure rei sono, né ladri né criminali.