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Scuola Diaz, la macelleria messicana dei media

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Nel pomeriggio del 20 luglio 2001, fui inviato dal Tg3 a commentare in diretta il grande corteo contro il G8 che si snodava per le strade di Genova. Ero all’epoca condirettore dell’Unità di Furio Colombo: in quelle ore moriva Carlo Giuliani, colpito dal carabiniere Placanica, e non era difficile prevedere che qualcosa di molto grave sarebbe ancora accaduto.

Criticai l’atteggiamento di chi guidava i poliziotti in assetto di guerra, con migliaia di persone pacifiche pressate e manganellate, come per un’assurda rivalsa dopo aver subito sotto gli occhi del mondo l’assalto dei misteriosi Black Bloc poi scomparsi nel nulla. Rientrato in redazione fui sommerso, tramite agenzie, da una raffica di insulti: il più mite ci definiva organo dei terroristi.

Ripenso a quei giorni dopo la durissima condanna dell’Europa per i fatti della Diaz per ricordare ai troppi smemorati in malafede cosa era l’Italia ai tempi della destra trionfante e arrogante. Una polizia con licenza di torturare e un’informazione di stampo cileno adibita a cassa di risonanza della menzogna golpista. E guai a chi non si adeguava. LUnità non si adeguò, i suoi inviati raccontarono tutto e gli editoriali di Colombo furono, in quella notte della Repubblica, una delle poche luci di giornalismo civile. Alla macelleria messicana delle coscienze e della memoria neppure i genitori del ragazzo Giuliani, Haidi e Giuliano, si rassegnarono. Così come l’indimenticabile don Gallo, che sicuramente oggi potrebbe sventolare con orgoglio la sua bandiera della pace e della giustizia in terra.

Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano, 9 aprile 2015

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