Forse non è finita. Forse il Paese dove la verità viene sistematicamente annullata e piegata agli interessi del potere ha ancora qualche speranza. Ce lo dicono due sentenze arrivate da Tribunali diversi, vergate da giudici che parlano lingue inconciliabili ma che rispettano una Legge comune, quella del diritto alla giustizia. Un diritto per tutti che non guarda al ceto sociale, non ti chiede chi sei, quanto vali, che mestiere fai.
La strage di Ustica e le violenze al G8 di Genova, due misteri italiani, due storie da chiudere in fretta e senza tanti complimenti. Per i morti e per i vivi. Quanti depistaggi, quanti non ricordo, quanti uomini di potere, ministri, generali, altissimi funzionari di polizia, sudaticci e imbarazzati a raccontare verità drogate davanti alle corti di giustizia, quanti dossier falsi dei servizi segreti. Eppure, alla fine, dopo anni di lotte, di battaglie vinte e perse, di amarezze, di sfiducia, c’è chi ha vinto. I familiari di quegli 81 morti nel cielo di Ustica, e gli uomini e le donne, giovani e anziani, italiani e stranieri, che a Genova, nel luglio 2001, sono stati picchiati, umiliati, arrestati e torturati.
Ustica, ad abbattere il DC9-Itavia fu un missile, lo ha stabilito la prima sezione della Corte d’Appello di Palermo. I familiari delle vittime devono essere risarciti. Punto. Nonostante i recenti ricorsi dell’Avvocatura dello Stato (ai parenti delle vittime si imponeva finanche di pagare le spese processuali e di lite) che, ancora una volta, metteva in dubbio la tesi dell’atto di guerra e del missile, puntando tutto sull’esplosione di una bomba a bordo. Agli eredi di quei morti viene anche riconosciuto il “diritto alla verità” messo in dubbio dai tanti depistaggi di questi anni. Ma è un diritto prescritto, sono passati più di 15 anni dalle prime sentenze penali, il danno c’è ma non è risarcibile. Ora si tratterà solo di stabilire quanto valgono le vite dei bambini, delle madri, dei lavoratori che tornavano giù a casa, di quelli che si erano concessi una vacanza, dei ragazzi e dei loro sogni di studenti universitari, i morti del DC9.
Il principio è salvo, un pizzico di giustizia è arrivato. Certo, ci sono voluti 35 anni, processi e commissioni di inchiesta parlamentare, impenetrabili muri di gomma da affrontare, ma alla fine hanno vinto. Familiari ed eredi di quei morti. Gente normale, operai, maestri di scuola, impiegati, piccoli imprenditori, studenti, hanno passato una parte della loro vita a battersi nelle aule di tribunali, affrontato spese legali enormi, lanciato sottoscrizioni, appelli, costituito associazioni e comitati per tenere viva la memoria. Alla fine hanno vinto per i loro cari e per il Paese tutto.
E ha vinto lui, Arnaldo Cestaro, 75 anni, pensionato Inps a 500 euro al mese, raccoglitore di ferro per arrotondare. Il 21 luglio 2001 aveva poco più di sessant’anni, comunista era andato a Genova perché “un altro mondo è possibile”. Arrotolata la bandiera rossa anche lui dormì alla Diaz, e lì vide l’inferno. Poliziotti col volto coperto lo picchiarono, gli spezzarono braccia e gambe, gli sputarono in faccia perché vecchio e comunista. Lo umiliarono. Ma lui non si è mai piegato.
Ha protestato, denunciato, è intervenuto a spese sue ai processi, ha fatto ricorso alla Corte europea di Strasburgo e ha avuto ragione. L’Europa del diritto ha detto all’Italia che quella notte alla Diaz persone inermi furono brutalmente “torturate”. Ha vinto, il “vecchio” che voleva solo giustizia. Ha perso la politica. Pensate al Parlamento che sui fatti di Genova istituì un Comitato di indagine. Inutile e bugiardo. Pensate ai balbettii di Gianfranco Fini in queste ore. Intervistato dice di non ricordare. All’epoca era vicepresidente del Consiglio ed era nelle sale operative. Pensate all’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola che aveva dato ordine di “sparare sui manifestanti se avessero superato la zona rossa” e che oggi è preso da amnesie. Pensate alle mezze verità di questori, capi dei reparti mobili, responsabili dei servizi segreti, capo della Polizia, comandanti dei Carabinieri.
Ecco, contro questo muro di menzogne e ricatti utili per costruire fulgide carriere, si è battuto un raccoglitore di ferro del Veneto.
Il Fatto Quotidiano, 9 aprile 2015