“Dell’Africa non gliene frega niente a nessuno. Gli frega finché ci sono materie prime, diamanti, petrolio da portare via. Dopo e prima non interessa più a nessuno. Se lo dici agli olandesi, che hanno colonizzato questa terra, ti rispondono: ‘Non è vero! Abbiamo anche fatto l’autostrada’. Sì, l’hanno fatta: così potevano portare via più facilmente le poche cose che avevamo”.
Che esagerata, mi dicevo.
Questa dottoressa africana è sempre polemica. E un po’ vittimista. Noi siamo qui per aiutarla.
Che vuole? Il mondo è pieno di gente che ha cuore l’Africa e gli africani.
Sbagliato.
E’ chiaro che non è così.
Che ci sono stragi più gravi di altre.
Morti che contano di più.
Attentati più orrendi che meritano la nostra totale attenzione.
E’ comprensibile? Può darsi.
Sentiamo Parigi più vicina di Nairobi.
Nairobi meno prossima di Tunisi.
Al Museo del Bardo sono morti degli italiani.
Tutto ci colpisce e ci spaventa di più.
Anche Twitter e Facebook dovevano essere particolarmente distratte negli ultimi giorni.
C’era un video simpatico da condividere, per augurarsi Buona Pasqua.
E poi c’era l’ultimo cinguettio demenziale di Razzi da commentare.
Tutti alla ricerca della battuta perfetta. Tanti “rt”. Tanti “mi piace”.
Non ci interessa – a nessuno interessa davvero – dove sia Garissa.
Non è Malindi. Non è tra le nostre prossime mete.
E’ Africa.
E – aveva ragione la dottoressa africana – dell’Africa, quella vera, non frega niente.
Certo, abbiamo in massa solidarizzato con qualcuno o qualcosa.
Tutti siamo stati qualcosa.
Je suis Charlie. Un logo che ha fatto il giro del mondo.
Ma non solo.
Je suis Juif.
Je suis Muslim.
Je suis Chretien.
Je suis Athée.
Je suis Policier.
Je suis Francais.
Je suis Bardo.
Je suis Citoyen du Monde.
Eppure – di sicuro – je ne suis pas Africain.
Personne n’est Africain.