Terminata la riunione per definire il documento cardine della politica economica. Confermati gli 1,6 miliardi in più che Renzi vorrebbe "destinare al welfare". Il premier però non fornisce indicazioni su come sarà utilizzato. Poi apre a una riforma sulle fondazioni: "Bene la trasparenza, ma deve decidere il Parlamento"
“Decideremo nelle prossime settimane come usare il tesoretto“. Così Matteo Renzi al termine del Consiglio dei Ministri che era slittato dalle 10 alle 20, tra molte polemiche, per varare il Documento di economia e finanza. L’ennesimo rinvio della riunione di governo (un identico balletto è andato in scena, per esempio, per l’approvazione della legge di Stabilità 2015) aveva fatto sorgere più di un interrogativo. Renzi al termine della riunione ha però sostenuto che si è trattato solo di un passaggio tecnico: “Il Def è la fotografia di una situazione economica e dice che le risorse ci sono. Lo dico e non solo per chi gufa, ma abbiamo riletto il testo pagina per pagina per evitare ritardi nella consegna”. Poi il premier ha confermato che, come da indiscrezioni che si erano rincorse in giornata, dai conti pubblici è spuntato “bonus” da 1,6 miliardi. Un “tesoretto” che nasce dallo scostamento di 0,1 punti percentuali tra l’indebitamento programmatico (quello concordato con Bruxelles) e quello tendenziale, verso il quale l’economia italiana è già avviata. Il primo è al 2,6% del Pil, il secondo al 2,5. Lo 0,1% che balla vale circa 1,6 miliardi di euro.
Cifra che Renzi non ha detto però come sarà utilizzata. L’orientamento sarebbe quello di destinarlo al welfare, varando un decreto ad hoc, o di usarlo per allargare la platea dei destinatari del bonus di 80 euro. “Vediamo, sono ipotesi”, ha sostenuto il presidente del Consiglio. “La discussione è aperta. Come suggerisce Roberto Speranza (leader della minoranza dem, ndr), potrebbe essere usato per contrastare la povertà o per allargare il bonus agli incapienti”. Nulla di più, il che non ha mancato di suscitare ironie e critiche dell’opposizione. A partire da Forza Italia, che parla esplicitamente di “logiche da campagna elettorale“, visto che a fine maggio sono in calendario in sette Regioni le elezioni amministrative.
Sui tagli alla spesa, da cui il governo conta di ottenere risparmi per 10 miliardi, sono confermate le aree di intervento emerse dalle bozze del Def nelle scorse settimane: rafforzamento del sistema Consip per gli acquisti di beni e servizi, razionalizzazione dei 10mila capitoli di spesa contenuti nei bilanci dei ministeri e delle partecipate degli enti locali, riduzione delle agevolazioni fiscali, stretta sugli assegni di invalidità percepiti in modo illecito, ricognizione degli incentivi alle imprese in vista di un riordino. Per quanto riguarda la sanità, applicazione dei costi standard e riduzione delle poltrone nelle Asl: “Non è normale che ci siano Regioni con sette province e 22 Asl, per me è un’esagerazione”, ha chiosato Renzi.
Dopo le polemiche dei giorni scorsi con i sindaci per le città metropolitane, preoccupati comunque più per il riparto dei tagli previsti dalla scorsa manovra finanziaria che per il Def, il premier ha poi ribadito che il documento non introduce tasse e non aumenta i sacrifici imposti a Regioni ed enti locali. Rassicurazione in teoria pleonastica, visto che nessuno degli interventi previsti nel Def ha forza di legge: si tratta solo un testo programmatico. A stabilire davvero sforbiciate e interventi su fisco e welfare dovrà essere la prossima legge di Stabilità. Eppure il presidente del Consiglio non ha rinunciato a spiegare che ai Comuni “stiamo dando tanti soldi: undici miliardi per le metropolitane, per risolvere il problema che i cittadini conoscono bene, quello dell’attraversamento delle città alla mattina”.
Nel corso della conferenza stampa il premier ha poi risposto a una domanda relativa alle fondazioni politiche, oggetto di vari scandali. E si è detto favorevole a una legge ad hoc: “Non sono contrario a una riforma che imponga trasparenza ma finora il quadro normativo in Italia è stato contrastante. Anche perché perché c’è il tema della privacy“. E tuttavia “se vogliamo intervenire con un atto normativo deve avvenire su impulso del Parlamento. Abbiamo abolito il finanziamento pubblico, io preferisco che i partiti siano finanziati da chi va alle Feste dell’Unità e alle cene che non da tutti i cittadini con il finanziamento”.