WHITE GOD di Kornél Mundruczó – Ungheria 2014, dur. 115 – Con Zsófia Psotta, Sándor Zsóter
Si può di certo affermare che il cane è il miglior amico dell’uomo, ma il contrario proprio no. White God ne conferma l’assunto con tanto di massa canina (bastarda) protagonista assoluta, sottoposta alle peggio torture psicologiche e fisiche da quello che dovrebbe essere il suo padrone (altrettanto bastardo nell’anima). Nell’Ungheria di oggi chi possiede cani non di razza o paga una tassa o li porta in canile. Il destino di Hagen (sopracciglio corrucciato da Beagle, corpo da bracco, coda da Akita) è quello di essere mollato sul viadotto trafficato dal papà della sua padroncina Lili, con annessa scena straziante del cane che rincorre l’auto. La ragazza deve concentrarsi sul saggio di musica e non può distrarsi. Hagen passa invece di mano in mano, una più meschina dell’altra, tra sadici accalappiacani, avidi barboni e un cinico addestratore di cani da combattimento, fino a quando la rivolta canina da lui capitanata diventa ribellione di massa e solo Lilì suonando la sua tromba potrà fermare la vendetta sull’uomo. Nerissima ed elegante metafora sui rapporti razziali e di oppressione di classe, White God è un riuscito esperimento politico in cui la dimensione canina, ovvero la massa dei reietti, assume ben più pregnanza e tratti di solidarietà di quella “umana”, i privilegiati. Mundruczo che nei suoi primi film ci aveva abituati ad un’impostazione di regia più ermetica e rarefatta, qui unisce riflessione e spettacolarità, gira i primi venti minuti con un realismo quasi esasperato per poi virare su un riuscito esperimento di orrorifico grand guignol che richiama Amores Perros, ma anche l’arena dei gladiatori con successiva rivolta in Spartacus. La seconda sequenza con gli strazi del macello è un chiaro messaggio etico pro vegetarianesimo. Che i 200 e rotti cani, addestrati dall’insegnante del pastore tedesco Rex, siano finiti adottati dopo le riprese ci riempie di gioia. 4/5
L’AMORE NON PERDONA di Stefano Consiglio – Italia/Francia 2014, dur. 85 – Con Arianne Ascaride, Helmi Dridi
Lei ha 60 anni e lui 30. Lei infermiera di origine francese, lui arabo e paziente casuale bisognoso di iniezioni. L’amore scatta tra le corsie dell’ospedale e si trasforma in rapporto sentimentale travolgente tra i palazzoni di una livida Bari. La vergogna è servita: figlia e genero di lei urlano allo scandalo e tirano fuori persino collegamenti del ragazzo con il terrorismo islamico per farla desistere. L’amore non perdona è un tumultuoso melodramma girato con maestria e sicurezza dal documentarista Consiglio all’opera prima di fiction. Fatto peccaminoso, antefatto del destino, e titoli di testa – con un oggettiva cielo sulla città dolente che ospita i reprobi – come scintilla di un corposo girato che ricorda quel buon cinema francese anni sessanta/settanta dove la coppia si incontra, si lascia, si riprende, si rilascia ecc… Un tinello, un temporale, scorci infiniti di mare e rocce, Consiglio si trova terribilmente a suo agio nell’amalgamare senza indugi un primo piano con un campo lungo, un dettaglio con un figura intera magari ostacolata da qualche oggetto fuori fuoco. Siamo dalle parti di quel cinema che potrebbe perfino essere senz’audio, tanto sono dense ed esplicite mimica, performance degli attori e aspetto visivo. Arianne Ascaride è un folletto che si scaglia prima col corpo poi con la voce contro le ostilità della vita con tenacia e passione universale. Nicola Piovani regala un commento musicale febbrile, costante e coinvolgente senza strafare, come non gli capitava da secoli. Vederne più spesso di film così. 4/5
HUMANDROID di Neill Blomkamp – Sud Africa 2014 dur. 120 – Con Dev Patel, Hugh Jackman
L’invenzione di un microchip per infondere intelligenza artificiale, un droide poliziotto Scout messo fuori uso in uno scontro a fuoco con la peggio feccia delle gang di Johannesburg, le paturnie di un giovane programmatore nerd dell’azienda Tetra Vaal che pensa solo al profitto e non ai destini della scienza e dell’umanità. Qui le coordinate narrative di Humandroid, terzo film del sudafricano Neill Blomkamp, desideroso di mettere in mostra la sua creatività tecnica oltre alle sue doti registiche e alla sua cifra più politica già messe sul piatto in District 9 ed Elysium. Qui ci si mettono pure un terzetto di cattivoni (eccezionale il duo rapper Die Antwoord) che rapiscono il nerd e il droide riprogrammato per addestrarlo a rapine e omicidi, invece che a pittura e scrittura come voleva il suo creatore. Che Chappie il robot sia un diretto discendente di WALL•E, e solo parente alla lontana del prototipo David di A.I., ci fa capire subito di che pasta sia fatta la filosofia sci-fi di Blomkamp: film sferragliante ed aspro nella rappresentazione della violenza, ma dal cuore tenerissimo. Affascinante la prima parte in cui la scoperta della nuova tecnologia si fa continua sorpresa. Più farraginosa la seconda parte in cui regia e script provano a spiegare gli effetti realistici di un drone che parla, pensa e soffre come un umano. Ancor più opinabile il delinearsi manicheo dei caratteri in scena (Hugh Jackman e il suo folle piano hanno lo spessore e la credibilità di Wacky Races), anche se a salvare l’insieme ricorre la creazione di un mondo appena futuribile in cui armi, codardia e profitto regnano sovrani. 3/5