A raccontare il gran rifiuto dei dirimpettai del palazzo di Giustizia palermitano è il procuratore generale Roberto Scarpinato. “Ho chiesto l'installazione di telecamere nel palazzo di fronte al tribunale, ieri però il Comitato per l'ordine e la sicurezza mi ha informato che non è possibile, dato che i condòmini si sono rifiutati di fare entrare i carabinieri che dovevano montare le telecamere”
Un sistema di telecamere doveva essere installato nel palazzo di fronte al tribunale di Palermo. Una misura di sicurezza che però è stata cancellata. Il motivo? I condòmini del palazzo si sono rifiutati di far entrare i carabinieri che dovevano montare le telecamere. A raccontare il gran rifiuto dei dirimpettai del palazzo di Giustizia palermitano è il procuratore generale Roberto Scarpinato. “Ho chiesto l’installazione di telecamere nel palazzo di fronte al tribunale di Palermo, ieri però il Comitato per l’ordine e la sicurezza mi ha informato che non è possibile, dato che i condòmini si sono rifiutati di fare entrare i carabinieri che dovevano montare le telecamere”, ha detto il pg di Palermo all’agenzia Adnkronos, dopo essere intervenuto all’assemblea convocata per esprimere solidarietà alle vittime della strage di Milano compiuta da Claudio Giardiello.
“È un vero paradosso ciò che accade nei tribunali italiani: lo Stato si ritira dalla sicurezza affidandola ai privati spendendo milioni di euro. Mi chiedo se con quegli stessi milioni non si potrebbero assumere dei carabinieri” ha commentato Scarpinato, che ha poi analizzato il livello di sicurezza all’interno del palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano. “I punti di vulnerabilità esistono, è inutile negarlo. E un tribunale concepito per l’ingresso libero al pubblico”.
Appena pochi mesi fa, il pentito Vito Galatolo aveva raccontato di essersi incontrato con il boss di Resuttana Vincenzo Graziano, proprio all’interno del palazzo di Giustizia per pianificare l’attentato contro il pm Nino Di Matteo. “Ci siamo visti dentro il Tribunale di Palermo – ha raccontato il pentito – e se le telecamere funzionano ci hanno ripreso: siamo io e Vincenzo Graziano. Lui mi disse: io lo vorrei mettere là. Parlava della strada, dove appoggiare un furgone”. La presenza di Galatolo e Graziano sarebbe stata registrata dalle telecamere piazzate nei corridoi del palazzo di Giustizia: quando invece i due boss si spostano all’esterno, per scegliere il posto dove piazzare l’autobomba per Di Matteo, non c’è alcun modo per documentare la loro presenza. Per questo motivo, Scarpinato avrebbe voluto piazzare le telecamere anche sull’edificio di fronte al tribunale. “Mi sono dovuto scontrare con fortissime resistenza, sit in dei dipendenti, proteste di magistrati e avvocati che volevano un ingresso riservato come a Milano ma io sono stato fermo sulla mia posizione”.
E se per Scarpinato il palazzo di giustizia ha diversi punti di vulnerabilità, di segno opposto è l’opinione di alcuni dipendenti del tribunale, che lamentano un eccessivo livello di sicurezza.”Vogliamo conoscere i potenziali effetti a lungo termine dell’esposizione ai metal detector dell’ingresso: per noi si tratta di un’esposizione quotidiana continua e non sappiamo quanto questo sia collegabile a casi di tumore che stiamo riscontrando tra il personale” dicono in un documento diffuso nelle ultime ore. Nei prossimi mesi, però, il livello di sicurezza a Palermo sarà aumentato.
Dopo le rivelazioni di Galatolo, infatti, nella legge di Stabilità è stato inserito un emendamento per finanziare con sei milioni di euro nuove misure di sicurezza al palazzo di giustizia siciliano. Entro sei mesi, quindi, il tribunale sarà recintato e l’impianto di videosorveglianza verrà potenziato. Sul palazzo di fronte non sarà comunque possibile piazzare alcuna telecamera se i residenti non faranno marcia indietro, aprendo le porte ai carabinieri. Un gran rifiuto che arriva esattamente trent’anni dopo l’ormai celebre lettera pubblicata dal Giornale di Sicilia: era l’aprile del 1985 e i vicini di casa di Giovanni Falcone si lamentavano per il rumore delle sirene delle auto di scorta. “Non è che questi egregi signori – scriveva una vicina di Falcone – potrebbero essere piazzati tutti insieme in villette alla periferia della città, in modo tale che sia tutelata la tranquillità di noi cittadini-lavoratori e l’incolumità di noi tutti, che nel caso di un attentato siamo regolarmente coinvolti senza ragione?”. Trent’anni dopo non c’è alcuna lettera di protesta, ma solo un secco rifiuto, che a ben vedere potrebbe avere conseguenze ben più gravi.