Il Corno d’Africa è stato nei secoli terreno di scontro fra le civiltà cristiano-ortodosse di agricoltori semiti dell’altopiano e quelle dei pastori nomadi musulmani. Ma per arrivare a parlare di jihad bisogna attendere Ahmed il Mancino nel XVI secolo o “Mad Mullah” agli inizi del Novecento. Quando nel 1899 Mohamed Abdullahi Hassan dichiarò il jihåd contro gli infedeli, i territori somali erano già colonizzati: una piccola parte dai francesi (Gibuti), un’altra dai britannici (il Protettorato del Somaliland), una parte dagli italiani (Somalia italiana) ed un altro pezzo ancora dai britannici (i territori nordorientali del Kenya). Le gesta del sayyid Mohamed che per vent’anni tenne in scacco le truppe britanniche, italiane ed abissine, cosa che gli varrà il soprannome di “Mad Mullah” furono l’anticamera a quello che si sarebbe visto successivamente.

Il mullah non fu solo un riformatore religioso che introdusse un islam molto più rigido e militante in contrasto con l’islam tradizionale somalo di stampo sufi, ma anche un proto-nazionalista che combatté duramente i colonizzatori. Per raggiungere i suoi obiettivi riuscì ad unificare sotto la sua guida molti clan diversi, come già aveva fatto il sultano Ahmed “il Mancino” quattro secoli prima. Ma a differenza di quest’ultimo, il suo obiettivo non era quello di conquistare ed islamizzare gli altopiani abissini cristiani, bensì quello di liberare i territori somali dagli invasori e redimere i loro abitanti dall’influenza cristiana.

Dopo la sua morte per malaria, nel 1920, il suo esercito si sfaldò e le rivalità claniche di sempre riemersero. Il mullah rimase però una fonte d’ispirazione per il nazionalismo somalo postcoloniale. Proprio durante le guerre clanico-civili il wahhabismo costituì, in Somalia, l’humus per la nascita di un gruppo estremista, al-Ittihåd, emerso al momento della caduta del regime di Siyad Barre, nel gennaio 1991. Nonostante numerosi tentativi della comunità internazionale di pacificare la Somalia, anche tramite l’invio di caschi blu (operazioni Restore Hope e Unosom), la Somalia divenne un esempio di Stato fallito. L’anno decisivo fu il 1993 con la Battaglia di Mogadiscio. Clinton ritirò il contingente americano dalla operazione “Restore Hope”. Da questa vicenda decollò l’immaginario di onnipotenza di Al Qaeda: “Gli infedeli sono tigri di carta”.

Oggigiorno però bisogna fare i conti con le milizie di Al Shabaab. L’obiettivo primario delle azioni terroristiche sono da tempo le infrastrutture turistiche della costa settentrionale e quelle delle organizzazioni internazionali e umanitarie ma obiettivi strategici possono essere anche scuole, chiese, università sempre per un risvolto mediatico. Molte sono le ragioni che hanno spinto al-Shabaab a concentrare i propri sforzi sul Kenya. La visibilità mediatica delle azioni condotte in Kenya è risultata di gran lunga superiore a quella somala. Pare inoltre che le comunità degli espatriati somali in Kenya diventino il canale di penetrazione di al-Shabaab sul proprio territorio. Di fatto troppi anni di anarchia in Somalia, senza un governo centrale, hanno fatto comodo a molti di quell’area compresi gli occidentali, per interessi politici ed economici, gestendo quello che resta di un “Failed State”.

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