Esistono armi chimiche di cui nessuno parla, perché occulte o apparentemente innocue. Presenti e letali nei nostri territori, sono in molti casi attrattive con il loro inquietante fascino del luogo obsoleto e segreto poiché seminascoste da folta vegetazione, spesso ridotte a ruderi sul quale si inerpicano rampicanti e fauna selvatica. A volte più rassicuranti, ma allo stesso tempo letali, come le mine giocattolo inesplose, ugualmente pericolose per l’infanzia, perché attrattive per i bambini.
Mi riferisco alle centinaia dei siti di caserme dismesse da anni con il loro contorno di capannoni, depositi munizioni, carburanti, ex polveriere, poligoni di tiro, quasi tutti ricoperti da lastre di eternit non integre ma sconnesse e pressoché sbriciolate quindi quanto mai pericolose per la polverizzazione delle fibre e la contaminazione di tutte le aree circostanti, verde incluso. Sebbene il pericolo di tale fibra fosse noto sin dagli anni ’40, solo con la legge 257 del ’92, l’uso dell’amianto fu dichiarato fuori legge. Nel 1995 fu varata una Legge per il riconoscimento dei rischi per lavoratori che nella trasformazione, attraverso l’inalazione, rischiavano tumori, e le morti nei vari luoghi contaminati, ne sono la tragica testimonianza.
Ciononostante fu usato, pressoché in ogni contesto edilizio, come isolante, coibente ignifugo, nelle pareti e nelle tubazioni sino agli ’80, ma, se una volta incapsulato risulta meno pericoloso, intaccarne l’omogeneità è letale. Edifici dismessi con parti sconnesse e amianto polverizzato, sono stati lasciati lentamente deperire, dopo aver subito in alcuni casi occupazioni, espoliazioni e diventando un vero e proprio problema per gli amministratori locali. La maggior parte non rivestiva un interesse non dico storico/artistico ma neanche documentario anche tenuto conto della proliferazione e della ripetitività della tipologia architettonica simile in ogni parte d’Italia.
Il non recupero di edifici non integri e non significativi non deve essere intesa come un sacrilegio ma come sosteneva anche Brandi “Se l’architettura è arte, e di conseguenza l’opera architettonica è opera d’arte, il primo compito del restauratore dovrà essere quello di individuare il valore del monumento e cioè di riconoscere in esso la presenza o meno della qualità artistica”. Lungi da me nel voler affermare che solo se l’opera è monumentale dev’essere restaurata, anche solo il valore di testimonianza è sufficiente per l’apprezzamento ed il restauro, ma qui si tratta di multipli anzi di porzioni di multipli isolati dal contesto urbano. Quand’è che conviene, anzi, si deve conservare? Non è rilevante né la non monumentalità né il contesto lo sostiene una persona che veniva criticata per la furia conservatrice sempre dimostrata in ogni occasione quando ancora non era ‘di moda’.
Avendo poi il nostro territorio (ed il nostro Demanio) una quantità di castelli, fortificazioni e dimore di grande interesse ma soprattutto pezzi unici in totale abbandono, occorre considerare l’idea di una selezione. Invece per una strana circostanza del destino qualche Soprintendenza ha posto un vincolo apposito obbligando lo Stato ad intervenire con stanziamenti importanti per i lavori di restauro. Ma qui viene il bello: a parte le cifre stanziate che potevano essere dirottate per immobili di significativo interesse (e non a porzioni di capannoni anni ’50) vengono indette gare di progettazione al ribasso. La disperazione dell’intera categoria di ingegneri ed architetti dopo il famigerato Decreto Bersani è tale che diversi studi hanno partecipato non solo non chiedendo un’indennità di rischio (come era logico ritenere ) ma offrendo ribassi del 50% alla già esigua parcella.
Poiché le prestazioni richiedevano un rilievo accurato, quindi la permanenza di diversi giorni a contatto con l’eternit sbriciolato, molti professionisti si sono trovati di fronte alla drammatica scelta se morire di fame o di mesotelioma. Queste considerazioni che sembrano far trasparire un macabro sarcasmo sono invece le amare riflessioni su come il patrimonio edilizio storico, e i suoi addetti ai lavori, al di là di una cultura della conoscenza, del recupero delle unicità o di agglomerati significativi di valore storico o documentario, sia viceversa in balia di bizzarre interpretazioni della salvaguardia di ciò che è rappresentativo e unico e connotativo.
Sempre più la categoria degli architetti, anche capaci e con una storia professionale importante, non tutelati da lobby e non collusi da mafie affaristico/politiche, non collettori di tangenti, si trovano a dover lottare per briciole di lavoro disagevole e pressoché inutile per la collettività. E’ alquanto bizzarro poi che sul sito ufficiale dei bandi da alcuni mesi siano del tutto scomparsi gli incarichi se non quelli ad alto rischio come appunto quelli a stretto contatto con l’amianto. Appare del tutto evidente che sia per le opere che per la progettazione occorrerebbe privilegiare il merito e non la convenienza politica, altrimenti il Paese della bellezza diventerà il Paese della vergogna.