Prendiamo la vicenda Gianni De Gennaro, che recenti sentenze europee hanno tratto da un ignominioso dimenticatoio: la mattanza genovese di manifestanti contro il G8 che erano stati ospitati nei locali della scuola Diaz, consumata alla ricerca di qualche incidente come pretesto per criminalizzare il dissenso; così da fornire appigli all’allora neo installato governo Berlusconi-Fini, consentendogli di sventolare i vessilli ‘Legge&Ordine’ con cui blandire il proprio elettorato. Operazione manipolativa e provocatoria cui il tecnico per tutte le stagioni De Gennaro – in quel momento capo della polizia – accreditò i capataz protagonisti della sanguinosa messinscena premiandone buona parte con avanzamenti di carriera”.
Ora Strasburgo fa scoppiare questa bomba a innesco tardivo su un qualcosa che reclama giustizia da più di un decennio. E il nostro premier che fa? Blinda l’inossidabile De Gennaro, nel frattempo asceso alla presidenza di Finmeccanica. Perché? Come mai? I bene informati ci dicono che Gianni ‘la salamandra’ apporterebbe al conglomerato industriale, ormai concentrato sul business militare, i contatti della propria rete personale, che collega organizzazioni internazionali specializzate nelle operazioni repressive. Ossia i naturali acquirenti di merceologie belliche. Ma forse la mossa di proteggere il boiardo risponde a ragioni molto più semplici e dirette: ‘l’Omo de panza’ Matteo Renzi, sempre più bulimico di potere, così facendo manda un messaggio rassicurante a tutte le ‘panze’ che popolano gli attici del potere. A dimostrazione che la parlantina sulla rottamazione riguarda soltanto chi voleva disturbare i manovratori. Non certo gli intoccabili.
Da tutelare sempre con doveroso rispetto, di chiunque si tratti: da Marchionne ai residenti nelle Cayman, Berlusconi come – appunto – De Gennaro. A questo punto – semmai – resta da capire cosa pensasse di ottenere il presidente Pd Matteo Orfini, sollevando il problema dell’incompatibilità tra l’ex poliziotto e la poltrona top della principale partecipata italiana. Ossia prendendo per la prima volta nella vita una posizione netta e coraggiosa, che gli ha procurato la travata nei denti dal suo segretario/premier. Stante il ben noto fegataccio politico dell’Orfini, attendiamo di vederlo presto scambiarsi il triplice bacio con il questurino/manager che voleva mettere all’indice. Per non dover fare karakiri (o, peggio ancora, dimettersi).
Tutte mosse convergenti a tutela dei rispettivi e più smaccati interessi di bottega. La stessa logica – seppure declinata in un contesto diverso – degli ukase con un retrogusto pogrom di Matteo Salvini contro i Rom. In sostanza: l’intimidazione verso terzi per esorcizzare il proprio, di intimidimento. Difatti, tutte le volte che il suo celodurismo s’affloscia, la terapia adottata dal leghista in felpa è sempre identica: alzare il livello di truculenza nel proprio linguaggio politico. E in questo momento il Salvini, che pretendeva di conquistare la pole position della Destra, ha perso largamente la faccia sottomettendosi non tanto a Silvio Berlusconi quanto ai di lui ‘sghei’. A quanto pare, i soldi per colmare certi buchetti padani, a partire dalla stampa di partito. Puro calcolo tattico, che non dovrebbe ingannare nessuno. A parte l’improbabile Joe Formaggio, sindaco leghista del paesello vicentino Albettone; il quale, non comprendendo bene le effettive ragioni del suo capo e avendolo preso sul serio, ora promulga altrettanto improbabili ordinanze anti-nomadi. Da vero John Wayne in saor.
Insomma, cosa ci insegna la calata di quest’orda chiacchierona di Mattei (Orfini, Salvini, Renzi-ni: che fantasia le loro mamme…)? In primis a tenere presente che questi inquietanti parolai stanno facendo concorrenza ai Crozza e ai Guzzanti; molto più veri di loro anche quando recitano script surreali e/o iper-realistici.