Cultura

Giorgio Gaber, trent’anni sul palco del Piccolo negli scatti di Ciminaghi

Da sabato 11 aprile fino al 26, a Pontedera (Pisa), il Museo Piaggio, grazie all'omonima fondazione, ospita l'esposizione fotografica “Gaber al Piccolo” che ha già toccato 150 città in Italia ed è stata visitata da oltre 20mila spettatori. L'inaugurazione, alle 19, precede lo spettacolo di Andrea Scanzi “Gaber se fosse Gaber”, alle 21,30, nell'auditorium del museo

di Ilaria Lonigro

Al Piccolo di Milano Giorgio Gaber ha conosciuto i più grandi onori, ma anche le più aspre contestazioni, come alla fine degli anni ’70. Cantava “Quando è moda è moda”, un brano con cui prendeva le distanze dalla nuova sinistra radicale, ostaggio della “moda” di “fare una comune o un consultorio” o dei “corsi accelerati da Lenin all’Oriente”. “Di quelli che diranno / che sono qualunquista / non me ne frega niente / non sono più compagno / né femministaiolo militante” cantava. Il pubblico, chiamato in causa, si offese e gli lanciò le monetine dalle balconate. Lo stesso accadde in altre grandi città. Gaber se lo aspettava, aveva lasciato il brano per ultimo, ci rimase un po’ male ma capì di aver colpito nel segno.

Il cantante milanese deve molto al Piccolo. E il Piccolo deve tanto a lui. Una mostra omaggia questo legame trentennale. Da sabato 11 aprile e fino al 26, a Pontedera (Pisa), il Museo Piaggio, grazie all’omonima fondazione, ospita l’esposizione fotografica “Gaber al Piccolo” della Fondazione Gaber, che ha già toccato 150 città in Italia ed è stata visitata da oltre 20mila spettatori. L’inaugurazione, alle 19, precede lo spettacolo di Andrea Scanzi “Gaber se fosse Gaber”, alle 21,30, nell’auditorium del museo.

In “Gaber al piccolo”, immagini giganti ritraggono il cantautore sul palco di via Rovello dal 1969 al 1993. Col passare degli anni i capelli si fanno un po’ più grigi ma la sua vis comico-polemica no. Glielo si legge nelle facce ora buffe, ora accigliate, mai gentili, sempre pronto com’era a fotografare con le parole ipocrisie e debolezze della società.

Lui, invece, non amava farsi fotografare. Certo fece un’eccezione per l’autore di questi scatti in bianco e nero: Luigi Ciminaghi, talmente bravo che senza il suo obiettivo Strehler si rifiutava di allestire i suoi spettacoli.

Fu il direttore del Piccolo, Paolo Grassi, a convincere il cantante di brani popolari come “Torpedo blu” che la sua strada era il teatro e non il piccolo schermo. Non fu facile: reduce da quattro edizioni di Sanremo, faceva coppia con Mina e Pippo Franco, era all’apice della sua carriera televisiva, lasciarla era rischioso.

Intervistata da ilfattoquotidiano.it, Dolores Redaelli, amica di Gaber e anima storica del Piccolo, ricorda ancora quella volta che Paolo Grassi invitò a cena Gaber per convincerlo a fare teatro. “Grassi gli aprì la porta. Aveva fatto un incidente da poco, aveva il braccio ingessato coperto da un golf blu. Giorgio non se ne accorse, era molto emozionato, si tolse il cappotto e lo appoggiò sul braccio ingessato di Paolo Grassi. Fu molto divertente”. Gaber faceva ridere anche quando non voleva. “Era molto, molto, molto divertente, spiritoso, intelligente, intelligentemente comico. Faceva le imitazioni anche fuori dal palcoscenico. Con lui lo spettacolo non finiva mai. Gli chiedevano di continuare, lui era generosissimo, quindi ci stava. Lo chiamavamo il terzo tempo. Finiva completamente bagnato, sembrava che avesse fatto la doccia”.

Non è l’unico aneddoto curioso che ricorda. C’è anche quello delle partite a poker con Franco Battiato. “Puntavano libri, volumi dell’Adelphi, perché con loro giocava Roberto Calasso, il direttore editoriale”.

Fino al 2003, anno in cui è scomparso a soli 63 anni per una malattia, Gaber ha visto l’Italia trasformarsi. “Ma lui no, non è cambiato tanto dal debutto fino alla scomparsa. Neppure la malattia l’ha mai modificato mentalmente, era uno spirito libero, lo è sempre stato. Se con un brano dovevano far male a qualcuno, non fa niente, lo avrebbero detto ugualmente” sostiene Redaelli, che parlando di Gaber usa il plurale. Sottintende che con lui ci fosse sempre anche Sandro Luporini, il pittore e paroliere viareggino che con lui scrisse gran parte dei testi. “Insieme anticipavano i tempi. Hanno attraversato tutta la storia d’Italia, ma quello che nei decenni è accaduto è sempre stato nei loro testi fin dagli inizi. I loro testi erano universali”.

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