Debbie Calitz, la sudafricana rapita nel 2010 e tenuta in ostaggio dal gruppo fondamentalista insieme al compagno di origine italiana, Bruno Pellizzari, racconta a ilfattoquotidiano.it: "Sono stata stuprata ripetutamente. Ci tenevano in catena. A comandare era una donna"
“Ci trattavano come esseri inferiori, impuri, perché non siamo musulmani. Sono stata stuprata ripetutamente. La prigionia è stata terribile, ma a loro interessavano solo i soldi: dieci milioni di dollari”. Dopo l’attentato delle milizie di al-Shabaab al campus universitario di Garissa, in Kenya, dove sono morte 148 persone, Debbie Calitz, la donna sudafricana che vive a Durban, rapita da pirati somali nell’ottobre 2010 e tenuta in ostaggio dal gruppo fondamentalista per 20 mesi, insieme al compagno di origine italiana, Bruno Pellizzari, racconta a ilfattoquotidiano.it la sua prigionia: “Lo scopo del gruppo è cambiato da quando ci rapirono. Per la nostra liberazione chiesero soldi, oggi hanno sferrato un attacco ai cristiani del Kenya”.
Sono passati più di quattro anni da quando la coppia, in viaggio in barca a vela nell’Oceano Indiano, è stata abbordata dai pirati a largo delle coste della Tanzania. “Hanno preso me e Bruno e ci hanno portati da un altro gruppo di guerriglieri islamisti, la maggior parte di origine kenyota, che indossavano turbanti e avevano barbe lunghe – ricorda Calitz – Solo dopo abbiamo saputo che si trattava di al-Shabaab, a noi si sono sempre presentati come ‘miliziani’”. Quello che l’ha sorpresa, però, è che a impartire ordini ai guerriglieri era una donna: “Non l’ho mai vista – continua – ma sentivamo spesso la sua voce che gridava contro i nostri sequestratori. Deve essere stata una figura importante, visto che ad ogni suo ordine seguiva un cambio di nascondiglio”.
Calitz ricorda i mesi di prigionia trascorsi in condizioni estreme, passati nel terrore di essere uccisi da un momento all’altro: “Ci hanno tenuto in condizioni igieniche terribili e denutriti per tutto il tempo. Io sono arrivata a pesare 32 chili, mentre Bruno 45. Ci hanno tenuto in manette ininterrottamente per otto mesi, venivamo spostati continuamente in luoghi più sicuri, soprattutto quando sentivamo i colpi d’artiglieria esplodere vicino al nostro nascondiglio. Avevamo contratto la malaria e non ci hanno mai curato”. Ma il peggio veniva quando le contrattazioni con i governi fallivano: “Venivamo puniti, picchiati e io sono stata ripetutamente stuprata durante la prigionia”.
Debbie ricorda che i carcerieri erano un gruppo di “ragazzi ignoranti, molto ben addestrati come terroristi, che odiavano gli Stati Uniti”, ma spesso incapaci di gestire la situazione. Il fatto che ragazzi così giovani fossero già dei terroristi ben addestrati non ha però sorpreso Calitz: “La Somalia – dice – è ormai un campo di addestramento e reclutamento a cielo aperto. Gli uomini di al-Shabaab passano con camion e megafoni per le strade delle città e dei villaggi gridando ‘Sapete che i musulmani possono avere quattro mogli? Sapete che i musulmani possono mangiare maiale?’. Così reclutano i giovani somali”.
Una situazione che è ormai una consuetudine soprattutto nelle aree più povere del Paese, dove è alto il numero di orfani da indottrinare. “Prendono i bambini anche di cinque anni – dice la donna – e li sottopongono 12 ore al giorno, tutti i giorni, a un vero e proprio lavaggio del cervello. Durante la prigionia, quando ci hanno tenuto in una di queste scuole, sentivamo le lezioni dei bambini”. La popolazione vive la presenza costante di questi gruppi in due modi diversi: “Una parte, ad esempio alcuni pescatori, collaborano con i pirati, segnalando la presenza di navi con merci di cui appropriarsi o imbarcazioni con occidentali a bordo. L’altra parte della popolazione, quella che non ha niente a che fare con i jihadisti, si è però assuefatta alla continua violenza e ai frequenti genocidi che si consumano nel silenzio”.