L’isola di Pasqua è il luogo abitabile più isolato del mondo. Il volo dal Cile ha una durata di 5 ore, durante le quali sorvolerete unicamente mare, mare e ancora mare e la vostra destinazione non sarà altro che uno scoglio in questa immensa distesa d’acqua. La Lan (la compagnia aerea cilena) effettua due voli settimanali per l’isola di Pasqua. Quindi generalmente i turisti rimangono sull’isola per 3-4 giorni. State tranquilli: i voli sono precettati, quindi garantiti anche in caso di sciopero. No, perché tutto è bello e magico se ci stai pochi giorni. Fermati un po’ di più e non ti sembrerà così assurdo tuffarti dallo scogliera a picco sul mare e nuotare fra gli squali pur di andartene.
La permanenza sull’isola di Pasqua avrà dei costi alti soprattutto se paragonati con quelli dell’America latina. L’isola è in sostanza un grande parco. L’ingresso ovviamente è a pagamento, 50$ da versare al vostro arrivo in aeroporto. Non ci sono altre formalità per l’ingresso sull’isola, che è piccolina; ci si può muovere anche in bicicletta, non presenta alti rilievi o dirupi. E’ possibile noleggiare e spostarsi anche in automobile. E’ un’isola vulcanica di forma triangolare originata da 3 vulcani emersi dal mare. Il punto più largo è lungo 11 km e l’altezza massima è di 500 m.s.l.m. Ha la stessa distanza dall’equatore di Miami, ha un clima temperato, è isolata (l’isola più vicina si trova a 2100 km a Est e le coste del Cile distano a 3700 km a Ovest) e battuta da forti venti.
La sua posizione ne farebbe un piccolo paradiso tropicale: con una vegetazione rigogliosa ricca di foreste con alberi ad alto fusto e piena di uccelli terrestri e marini. Ed era proprio così che la videro i primi colonizzatori polinesiani nel 900 d.C. che scoprirono l’esistenza dell’isola proprio grazie alla grande quantità di uccelli che le volteggiavano attorno, aumentandone il diametro ‘apparente’ a più di 300 km. L’isola di Pasqua era un tempo la più grande colonia di uccelli marini di tutto l’oceano Pacifico. Senza la presenza degli uccelli sarebbe stato pressoché impossibile che pochi uomini che viaggiavano su canoe s’imbattessero, nel bel mezzo dell’Oceano, su un isolotto di soli 11 km!
Oggi, oltre ai moai l’isola di Pasqua non offre molto: c’è un’unica spiaggia sabbiosa, chiamata Playa Anakena (dove ci sono anche dei servizi igienici) nel lato nord dell’isola, ma le acque oceaniche sono fredde. Le coste sono frastagliate, non c’è barriera corallina. Si può praticare surf. C’è qualche cavallo allo stato brado e se siete fortunati potrete vedere qualche tartaruga marina. Ci sono molti cani randagi. La vegetazione è scarsa, per non dire assente. Se l’analizziamo da un punto di vista più pragmatico, l’isola di Pasqua rappresenta un caso limite di deforestazione ed estinzione della fauna da parte dell’uomo. Per inciso, deforestazione ed estinzione di specie animali compiuti dall’uomo non industrializzato, che il comune pensare ritiene sempre in armonia con la natura.
Dico questo non per denigrare l’isola di Pasqua, ma per sottolineare che è un’isola un po’ infelice. Vale la fatica, i soldi e il tempo per raggiungerla solo se siete degli appassionati di archeologia. Se sperate di trovare flora-fauna-spiagge-pesci-attrattive turistiche resterete delusi. Però per gli amanti del genere rappresenta comunque una meta affascinante. Nel periodo del suo massimo splendore l’isola di Pasqua arrivò a raggiungere una popolazione di circa 25.000 persone. Se non fosse famosa per le sue monumentali statue, l’isola sarebbe conosciuta come l’isola dei pollai. Infatti, soprattutto vicino al mare si trovano più di 1.200 pollai di pietra, larghi 3 metri e alti 2, con tanto di porta e circondati da un cortile recintato. Escluse le statue megalitiche sono la cosa che si nota di più.
Il territorio dell’isola di Pasqua, seguendo la tradizione polinesiana, venne suddiviso in fette, come se fosse una torta. Le ‘fette’ erano 11 o 12, in ciascuna c’era un clan diverso, ognuno a sua volta suddiviso in classi sociali. Fu proprio la rivalità fra clan a far iniziare una sorta di gara per costruire il moai più grande. Le gigantesche statue venivano erette su piattaforme di pietra chiamate ahu. Sul retro di queste piattaforme venivano cremati i morti.
A dispetto di quello che si potrebbe pensare, richiedeva molto più lavoro e fatica la costruzione delle piattaforme rispetto alle statue: l’ahu è una piattaforma rettangolare composta da 4 pareti di pesantissima pietra basaltica che doveva poi essere interamente riempita di massi. I moai invece erano scolpiti da un unico blocco di pietra nel vulcano di Rano Raraku. Ancor oggi nei pendii del cratere si possono vedere quasi 400 statue colossali incompiute. Per inciso il lago paludoso all’interno del cratere rappresentava l’unica fonte d’acqua potabile dell’isola.
I moai furono costruiti dall’anno 1000 d.C. al 1600 d.C. ed erano tutti rivolti verso il centro dell’isola, non verso il mare. Per motivi sconosciuti, le statue furono in seguito buttate giù dai piedistalli. Quelle che oggi si vedono erette sono state sollevate con mezzi moderni nel secolo scorso.