A un mese dall'avvio del programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, i rendimenti di quelli dell'Eurozona si sono ridotti moltissimo: nel 25% dei casi sono addirittura sotto zero. Giù anche i rendimenti delle obbligazioni emesse da grandi aziende. Questo potrebbe tradursi in una "migrazione" di capitali verso investimenti meno sicuri ma più redditizi
Quantitative easing, un mese dopo. Tra speranze e timori si tracciano i primi e molto parziali bilanci dell’operazione straordinaria avviata dalla Banca centrale europea lo scorso 9 marzo. Da quel giorno la Bce e le banche centrali nazionali hanno iniziato ad acquistare titoli pubblici e privati di euro “stampando” nuova moneta. Rispettando il programma, gli acquisti del primo mese sono stati pari a circa 60 miliardi di euro: 47 miliardi di titoli di Stato, di cui 7,6 italiani, oltre a quasi 5 miliardi tra titoli Abs e covered bond e altri 5,2 miliardi di titoli emessi da istituzioni sovranazionali. Così, secondo i piani, dovrebbe essere ogni mese almeno fino a settembre del 2016 con l’obiettivo di allontanare l’area euro dalle secche della deflazione e tentare di fornire slancio a un’economia che rimane fiacca.
Sul fronte dei prezzi è presto per fare valutazioni visto che i dati più recenti, e ancora provvisori, si riferiscono a marzo, primo mese parzialmente coperto dagli acquisti di titoli. Nel mese scorso Eurostat ha comunque rilevato un rallentamento della deflazione: il tasso è risalito a -0,1% dal -0,3% di febbraio. Risultati in un certo senso spettacolari si sono invece visti sin dai primi giorni sui mercati finanziari, con i rendimenti dei titoli di Stato dell’area euro che si sono ridotti sino a passare in alcuni casi in territorio negativo. Oggi circa il 25% dei bond sovrani dell’area euro non paga interessi ma ha anzi un costo per chi ce li ha in portafoglio. Nel “club meno di zero” sono già entrati Germania, Francia, Olanda e da martedì, per qualche ora, anche la Spagna. Fuori dall’area euro rendimenti negativi si registrano su diverse emissioni scandinave mentre la Svizzera è il primo paese ad aver collocato addirittura un bond decennale con interessi sotto lo zero.
Qualche segno meno inizia a comparire anche davanti ai titoli emessi dalle società con rating elevati, come nel caso di Nestlé. Ad acquistare a queste condizioni sono solitamente le banche, che preferiscono parcheggiare il denaro in investimenti sicuri, seppur a rischio perdita, piuttosto che erogare finanziamenti che comportino rischi eccessivi. C’è poi chi scommette che la deflazione si intensificherà e i prezzi caleranno più di quanto diminuisce il valore dei titoli, con il risultato che i possessori registreranno comunque un guadagno. Altri ritengono che le prossime emissioni offriranno rendimenti ancora più penalizzanti e che quindi rivendere i titoli comprati oggi garantirà in ogni caso un profitto.
Rendimenti depressi sui titoli di Stato sono un sollievo per le casse pubbliche, visto che si traducono in una flessione della spesa per interessi. Il rovescio della medaglia, potenzialmente molto pericoloso, è che nella disperata ricerca di un qualche profitto i capitali migrano verso prodotti finanziari rischiosi. L’effetto positivo sulle finanze pubbliche non va comunque enfatizzato troppo. Il centro ricerche Bruegel di Bruxelles ha calcolato che i risparmi per il Tesoro italiano da qui a settembre 2016 si dovrebbero aggirare intorno a 1,2 miliardi di euro, su una spesa complessiva per interessi che oscilla tra i 70 e gli 80 miliardi di euro l’anno. Complessivamente gli acquisti di titoli italiani dovrebbero ammontare a 146 miliardi di euro, 133 dei quali attraverso la Banca d’Italia che si farà carico di eventuali perdite o incasserà gli eventuali profitti.
Paragonato a quello di altre banche centrali, il quantitative easing europeo non è particolarmente imponente. Gli interventi della Federal Reserve valevano circa il 22% del Pil statunitense e quelli della Bank of Japan quasi il 40% di quello giapponese, mentre nel caso di Francoforte non si arriva al 15%. Si tratta però di un programma molto ampio se rapportato alle emissioni europee dei titoli di Stato: gli acquisti Bce coprono il doppio dell’offerta. Giuseppe Sersale, economista e strategist di Anthilia sgr, spiega che “gli acquisti della Bce sono partiti tardi, in una situazione in cui i deficit della zona euro sono bassi e le emissioni di nuovi titoli limitate. Quando la Federal Reserve ha iniziato il suo piano di acquisti il deficit statunitense era intorno al 9% del Pil e le emissioni di treasury (i titoli di Stato statunitensi, ndr) abbondanti. In questa situazione la banca centrale rischia di prosciugare il mercato”.
Il mercato dei titoli di Stato europei vale circa 8mila miliardi di euro. Quello dei bond societari con rating elevato, più sicuri ma con rendimenti ormai a loro volta molto bassi, ammonta a 2.400 miliardi. Quello dei bond più rischiosi e più redditizi, con voto singola B o inferiore, vale invece appena 80 miliardi di euro. Come è facile capire basta che una piccola quota dei soldi investiti in titoli di Stato o bond di alta qualità si sposti verso investimenti più rischiosi per causare forti aumenti di prezzi e riduzioni dei rendimenti. Un trasloco favorito anche dal fatto che il quantitative easing crea un ambiente in cui ogni rischio viene percepito sui mercati in maniera ovattata. “Si comprerà di tutto”, continua Sersale, “anche all’estero, anche aziende non quotate. In generale ci attendiamo una compressione dei rendimenti con valori dei titoli ben al di sopra del loro fair value per tutta la durata del quantitative easing. Dopo di che è inevitabile che arrivi una correzione”.
Attualmente il rendimento dei titoli societari europei meno sicuri è intorno al 4%, quello generale dei bond corporate poco sopra l’1%. A queste condizioni le aziende sono invogliate ad emettere obbligazioni in grandi quantità. Anche le imprese non europee scelgono di indebitarsi in euro per sfruttare l’occasione. Se non si esagera non è necessariamente un male. Come rileva in un recente studio Standard and Poor’s, questa situazione favorisce il miglioramento delle finanze aziendali e, almeno per ora, non si nota un surriscaldamento del mercato né la tendenza ad acquisti indiscriminati, sintomo di “bolla”. Tuttavia, aggiunge S&P, il settore dei bond ad alto rendimento deve essere attentamente monitorato anche perché iniziano a intravedersi i primi segnali di un allentamento dei requisiti per i finanziamenti.
Diversi economisti guardano comunque con preoccupazione alle politiche monetarie ultraespansive messe in campo dalle principali banche centrali. Pochi giorni fa il membro della Federal Reserve James Bullard ha auspicato che la banca centrale statunitense inizi ad aumentare i tassi di interesse il prima possibile per arginare la crescita di bolle speculative che potrebbero avere “effetti devastanti” sui mercati finanziari. L’economista Richard Koo, che ha studiato approfonditamente la lunga crisi economica giapponese, ha ricordato come sia relativamente facile iniziare queste politiche monetarie ma come sia poi molto difficile uscirne. Soprattutto se la liquidità immessa nel sistema bancario non viene poi trasferita all’economia reale. Il quantitative easing è probabilmente l’unica strada che la Bce poteva imboccare per tentare di salvare l’economia europea. Che sia anche quella giusta è però ancora tutto da dimostrare.