"Gianni mi diceva delle cose orribili. Io dovevo presentare mentre lui si divertiva a dirmi cose tremende, parolacce, che non si possono proprio ripetere, e ciò che lo divertiva era che io lo censuravo", ha raccontato l'attrice a FQ Magazine. Lontani i tempi di Non è la Rai oggi è Laura ne La scelta di Michele Placido e V nello spettacolo La misteriosa scomparsa di W di Stefano Benni
Sul grande schermo dal 2 aprile è Laura ne La scelta di Michele Placido, film ispirato a L’innesto di Pirandello: una donna che, rimasta incinta di uno stupratore, lotta con se stessa e con il marito, che è Raoul Bova, per tenersi il bambino. A teatro è V, che si sente solo una metà, ne La misteriosa scomparsa di W di Stefano Benni. Per Ambra Angiolini sono lontani i tempi di Non è la Rai, eppure ricorda ancora le parole irripetibili e i rutti che le sparava nell’auricolare Gianni Boncompagni, che è stato per lei, dice, un maestro di vita.
Come ti sei sentita nel ruolo di una donna che nonostante tutto quel bambino lo vuole a tutti i costi?
Mi sono sentita rispettata. Io sono madre, l’ho voluto, probabilmente era una cosa che desideravo da tempo ed è successa, anche se onestamente la sua scelta è in primo luogo un profondo atto di egoismo perché lei in quel momento non è innamorata di suo figlio o di sua sua figlia, ma vuole soltanto diventare madre a qualsiasi costo. Succede, ma poi dopo passa, e lo dico da madre. Succede che tu ti metti da parte e c’è solo il figlio, tant’è che le coppie vanno in crisi perché ci si dimentica che esiste un padre, che c’è una coppia e che c’era sempre stata.
E ti senti di condividere la sua scelta di non denunciare la violenza subita?
Io non dico che non sia giusto denunciare, ma che ancora oggi l’atteggiamento familiare è spesso quello di donne costrette a tacere e a subire, probabilmente in imbarazzo nei confronti della violenza domestica da cui escono a fatica pur avendo strutture e persone pronte ad aiutarle. I processi televisivi, dove vengono forniti elementi e particolari, e dove viene sviscerata la loro vita tra medici legali e criminologi, insomma, quella ‘roba lì’ alle quattro del pomeriggio non è affatto utile. Però credo che sia sempre meglio parlarne e affrontarlo.
C’è anche un po’ della tua V teatrale in Laura?
Sì, perché in tutti e due i personaggi c’è il coraggio di uscire dalla fila e di domandarsi se quella coda che stai facendo ha davvero un senso oppure la stai facendo solo perché la fanno tutti e quindi è più semplice. Ma quello che esce dalla fila per fare una cosa diversa dagli altri e si guadagna l’attenzione di tutti, deve anche prendersene la responsabilità, motivarla e pregare che sia anche una scelta credibile, giusta e solida. Laura non denuncia per non diventare un caso di cronaca e questa è una scelta coraggiosa. E in quanto a coraggio anche la povera V ne ha da vendere visto che si mostra al pubblico in tutto il suo essere fuori di testa, poi però racconta i mali della società così evidenti che il pubblico alla fine si chiede se la matta sia davvero lei o tutti noi che cerchiamo di starci dentro.
Ma le donne di oggi sono davvero emancipate?
Ci piacerebbe dire che siamo andate avanti, eppure ci sono ancora uomini che mettono fine alla vita di mogli, amanti e compagne solo perché hanno osato dire di no. O donne che cadono in depressioni improvvise delle quali nessuno si accorge e poi accadono delle tragedie. Non credo che le cose siano tanto cambiate, altrimenti sui giornali leggeremo cose diverse.
Qual è stata la scelta della tua vita?
Sicuramente quella di affrontare la nuova altra vita che mi è stata concessa, e penso alla mia famiglia e a quello che sono andata a creare da zero in una città che non conoscevo, con un uomo che è sempre quello della mia vita, ma che poi diventa quotidiano. E poi una bambina che arriva e tu hai 26 anni e tutti intorno a te ne hanno almeno dieci di più e non ti rendi conto del come e del perché. Ricordo che in ospedale mi guardavano come per dire: ma tu sapevi che si poteva anche evitare? Penso di sì, ma io l’ho scelto e lo volevo.
E come hai vissuto quell’esperienza?
All’inizio è stata durissima. Io tengo dei diari, proprio qualche giorno fa ne ho riletti alcuni e mi domandavo: ma perché la chiamano dolce attesa? Perché ti inganna questa cosa qua e quando l’attesa non è dolce, perché succede che non lo sia, ti senti in errore e da lì cominciano i primi maledetti sensi di colpa che poi diventano dei mostri giganteschi. Non è vero che sia sempre dolce, l’attesa è l’attesa. E attendere significa andare in ansia, piangere, ridere, non vedere l’ora che finisca, non sapere perché è iniziata. E se ci raccontassero questo, probabilmente potremmo arrivarci con meno aspettative e meno ansie.
La tua vita è cambiata anche professionalmente, e forse grazie a due signori che si chiamano Boncompagni e Ozpetek…
Loro sono i cambi storici, perché poi ci dovrei mettere dentro un’infinità di altri personaggi, compreso l’ultimo, perché anche Michele Placido non è stato da poco affidandomi un ruolone, che poi piacerà o no, ma questo non è importante. Però i cambi da film, appunto, sono stati sicuramente loro: Gianni che ha dato il via a una cosa che neanche io potevo immaginare e Ferzan che le ha dato la ricarica e, ancora una volta, un’altra visione.
Peraltro Gianni Boncompagni in una recente intervista a Il Fatto Quotidiano ha svelato che a Non è la Rai nell’auricolare ti sparava delle brutte parole, ma è vero?
Sì, è verissimo, mi diceva delle cose orribili. Io in realtà dovevo presentare quello che c’era da presentare mentre lui si divertiva a dirmi cose tremende, parolacce, che non si possono proprio ripetere, e ciò che lo divertiva era che io lo censuravo, cioè evitavo di dire quella frase o quella cosa che non era proprio il caso di condividere, se non tra me e lui.
Ad esempio?
Alcune volte insultava la signora al telefono e io gli facevo capire che non era il caso, oppure mangiava delle brioches e poi faceva dei rutti ed era una cosa che lo divertiva da pazzi, così dopo il suggerimento, diciamo, parola per parola, è arrivata questa mia doppia autonomia, cioè nel gestire lui e pure il resto. Infatti in regia andava in onda un altro programma con spettatori di élite tipo Carmelo Bene o Pippo Baudo che guardavano lo show da lì e non dallo studio e si rendevano conto che quello che divertiva Gianni era tutta un’altra storia. Ed è per questo che so fare un sacco di cose come la mamma e poi correre a lavorare e poi guidare e andare in teatro.
Insomma, un maestro di vita.
A parte tutti gli scherzi del mondo, lo è stato davvero. Gianni mi ha regalato tutto quello che in quel momento non era passione ma obbligo: studiare perché dovevo, leggere perché era obbligatorio. Mi ha fatto scoprire un mondo di cose che potevo scegliere e che sarebbero diventate passione.
A proposito di passione, tu, si sa, sei molto emotiva, come lo gestisci questo nel tuo lavoro?
È un casino, ma adesso le voglio anche bene a questa mia emotività perché è positiva per me e se non ci fosse stata probabilmente sarei entrata in un altro tipo di mondo con un atteggiamento diverso. Il problema è che sono sempre poco convinta di sapere far bene, ho sempre questo distacco che è un po’ tipico proprio di Gianni, come se, non dovendo salvare il mondo, facessi fatica a considerare importante quello che faccio.