Infatti, il complesso impianto teorico del pensatore argentino si presta paradossalmente a essere tradotto in una forma politica efficace. Una filosofia quindi che non rimane confinata a un piano astratto, ma che se tradotta adeguatamente ha ripercussioni fertilissime nell’ambito della pratica. In tal senso, le teorie di Laclau avevano già visto un’applicazione concreta a partire dal decennio scorso in America Latina, con l’ondata socialista latinoamericana di Chávez, Morales e Correa. Queste esperienze, pur dimostrando dei limiti (d’altronde non imputabili a Laclau), sono rimaste in larga misura incomprese in Europa a causa di una copertura giornalistica sommaria e incapace di leggere le trame politiche latinoamericane. Un retaggio eurocentrico quindi, il quale ha impedito di comprendere fino in fondo le potenzialità di una certa logica politica che nel continente sudamericano prendeva progressivamente corpo. Tuttavia, sull’onda del successo di Syriza in Grecia e l’ascesa di Podemos in Spagna, quella logica politica inizia ora a imporsi anche nel panorama europeo, con il conseguente riconoscimento del suo ispiratore.
Il fulcro dell’operazione politica di Laclau gira attorno al riscatto di un concetto screditato: il populismo. Il filosofo tuttavia non è difensore di qualsiasi populismo, ma di un populismo di sinistra, capace di reinserire la tradizione politica progressista nella lotta per l’egemonia da cui è stata a lungo esclusa. Per Laclau, il populismo non è demagogia o eversione, bensì un elemento costitutivo delle democrazia: si tratta di un meccanismo attraverso cui i settori marginalizzati della società tentano di far valere la propria voce e di ripristinare il controllo popolare sulle sorti della collettività. L’asse portante del populismo è la suddivisione della società in due poli avversari: il popolo e le elite, il che spiega la sua forte connotazione anti-oligarchica.
Ma cos’è il popolo? Il popolo non è qualcosa di obiettivamente già dato, ma il frutto di una costruzione. Il popolo è l’assemblaggio di diversi settori, definibili sia in termini socio-economici che culturali, attorno a una idea principale -insieme a un gruppo che la incarna- e che in un determinato momento storico detiene una centralità nel discorso pubblico. In questo modo, il popolo diviene un’identità politica nuova, singolare e quindi irriducibile alla semplice sommatoria dei settori articolati: tutti gli elementi, nel corso di questa fusione, subiscono una mutazione.
Non è proprio il processo che hanno avviato Syriza e Podemos? Nonostante traiettorie storiche diverse, il loro successo si basa sulla capacità di andare oltre l’amministrazione del gruzzolo di voti della sinistra radicale. La loro politica sradica lealtà ideologiche apparentemente immobili ma in realtà rese ora vulnerabili dalla crisi, ponendosi come faro politico e morale di settori tradizionalmente distanti. Come? Creando appunto una divisione dicotomica della società e articolando una serie di rivendicazioni democratiche espresse dalla popolazione che vengono puntualmente disattese dalle istituzioni.
Il populismo può manifestarsi associato a ideologie disparate: a tutti gli effetti, è una forma di attribuire contenuto a una determinata politica, non il contenuto in sé. Questo perchè i settori marginalizzati si possono coalizzare intorno alle idee più diverse, articolando elementi in taluni casi particolarmente problematici. In assenza di alternative di un populismo di sinistra, succede così che siano i populismi di destra ad approfittare delle situazioni di crisi organica, facendo dell’immigrato l’origine di tutti i mali. Un populismo razzista che può essere efficacemente combattuto solo attraverso un populismo progressista, in grado di dimostrare l’inconsistenza e la pericolosità di tali derive, ma soprattutto capace di far uscire la sinistra dal suo guscio identitario. A un anno dalla morte di Ernesto Laclau, Syriza e Podemos ci dimostrano che questa prospettiva è più che mai possibile e necessaria.