Urbano Cairo, l’homo novus da quasi due anni proprietario di La7, ha messo un bel piede anche dentro la porta di Rcs (col 4 e passa per cento delle azioni) e suggerisce all’amministratore Iovane di applicare al gruppo, ammaccato da varie disavventure specie all’estero, di non precipitarsi a fare cassa cedendo il reparto libri, ma di tagliare invece, e “ferocemente”, le spese.

Come è successo a La7 negli ultimi due anni: dapprima nella fase terminale di Telecom (la precedente proprietà) e poi con Cairo stesso che, riguardo ai bilanci, applica la formula sacra “primo, non prenderle!” e fa spallucce alle imprecazioni di molti stringendo tutto lo stringibile sul fronte dei costi. Né puoi dargli torto, posto che finché si tratta di convivere col duopolio, non c’è spazio per gli investimenti pindarici.

Ma a noi resta qualche dubbio, non sulla congruità dello “stile Cairo” (che neanche è affare nostro), ma sul senso delle tante aziende della industria creativa, compresa la coppia dei broadcaster duopolisti, aduse a vivacchiare in un eterno tirar di cinghia. Saranno mai in grado queste aziende a scartamento ridotto di avviarsi e avviarci verso uno sviluppo socialmente rilevante? O non riscontriamo qui, al livello delle imprese, lo stesso problema da cui, a sentire gli esperti, l’Italia è schiacciata nel suo insieme? Con la contabilità del presente che costringe a battere il passo, mentre la necessità dello sviluppo richiederebbe di correre?

L’analogia ci pare evidente, come analoga ci sembra la necessità di riforme strutturali volte (radicalizzando il noto motto) a “invertire il verso del sistema”. Che per tv e industrie creative vuol dire puntare alla produzione ad alto costo (e valore), abbandonando la attuale dispersione dell’offerta, popolata o da prodotti altrui o da prodotti nostri snobbati dal mercato globale, che costano quattro soldi e sono fatti da quattro gatti (quando in condizioni diverse l’occupazione potrebbe invece essre molto più numerosa).

Detto altrimenti, invece di fare sempre nuovi buchi alla cintura, che impediscono al sangue delle risorse di arrivare alle teste, ci sarebbe da puntare a un qualche “sparigliamento”, creativo e di mercato, con l’obiettivo di conquistare più mercato, anziché intasare quello interno, e fare esplodere la occupazione.

L’ostacolo è troppo alto? No, se si ricorda che l’Italia ha i numeri socio culturali per tentarlo e che quel che serve è “solo” una politica a valore aggiunto, anziché sottratto.

Salire di quota, insomma, per non ritrovarci, come ancora un paio due sere fa, a udire che, in vista della prossima Riforma, sono in molti a sperare che tutto si riduca a togliere alla Rai un po’ di pubblicità, nell’auspicio che si riversi nelle proprie tasche. La classica “riforma a somma zero”. Quella prediletta dagli avvoltoi (e data per scontata dai gufi).

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