So di non dire niente di originale, ma ogni volta che penso alla carriera e alle canzoni di Enrico Ruggeri mi viene in mente Elvis Costello. Intendiamoci, non che io sia uno che millanta di aver conosciuto Costello prima di Ruggeri, perché i miei primi ricordi legati al cantautore milanese risalgono al suo passaggio sanremese con Nuovo swing, mentre Costello, complice l’anagrafe, ha fatto il suo ingresso nella mia vita qualche anno dopo, per la precisione con Spike, album che lo vedeva al fianco di Sir Paul McCartney. Ma ogni volta che penso a Ruggeri, al suo talento cristallino, chiaro, e al tempo stesso al suo essere difficilmente incamerabile in una sola casella, cantautore, rocker, protopunk, dada, autore, presentatore tv, scrittore, mi viene in mente Elvis Costello, e mi dico anche: che fortuna, noi italiani, ad avere nel nostro patrimonio musicale un artista come lui.
Faccio un passo indietro. Tempo fa ho scritto che considero Enrico Ruggeri il più importante autore italiano in attività. L’ho fatto in relazione all’esibizione del nostro a Sanremo, durante la serata finale, esibizione nella quale ha presentato Tre signori, canzone che in qualche modo anticipava Pezzi di vita, suo trentaquattresimo album in uscita oggi. Qualcuno può aver pensato che la mia fosse in qualche modo una provocazione. Siamo nella fase conclusiva di Sanremo e io, parlando di un ospite, quindi di un brano non in gara, dico che Ruggeri è il più grande autore in attività, come a sottolineare che nessuno dei cantanti in gara rientri in questa categoria e che, non essendoci brani scritti da Ruggeri in competizione, che nessuna delle canzoni fosse degna di essere ascoltata. Ora, un po’ è vero, nel senso che, salvo rare eccezioni, non è che Sanremo mi abbia fatto impazzire, ma quel che penso e sottoscrivo di Enrico Ruggeri rimane.
Credo sia il più grande autore in attività, per la sua capacità di spaziare tra brani in cui i sentimenti giocano un ruolo centrale, in cui ci si vede senza pelle, e brani in cui è lo spirito irriverente del rock a farla da padrona, col ritmo incalzante a tenersi in equilibrio con le parole, sempre perfette, precise, giuste. Brani devastanti, nel metterci a nudo, come Polvere o Non finirà, e brani ironicamente feroci come Contessa o il ben più recente In un paese normale, con intorno tante gemme squisitamente pop, leggere, come il pop pretende, ma profonde, da Quello che le donne non dicono in qua a Mistero a una delle tante da lui scritte, fate voi. Quindi sì, penso che Ruggeri sia il più grande autore italiano in attività, proprio per questa sua capacità, unica direi, di giocare con la forma canzone, rimanendo autore alto anche nel momento in cui scrive brani capaci di scalare le classifiche.
Se anche i brani di Pezzi di vita, fresco di stampa, siano in grado di scalare le classifiche non saprei dirlo, perché nonostante la grandissima qualità messa in campo dal Rouge in fase di composizione e da lui e il suo amico e compagno di lungo corso Luigi Schiavone in fase di produzione, non sono in grado di fare previsioni di vendite che esulino dalla potenza di fuoco con cui un lavoro viene proposto, quel che invece so per certo è che ancora una volta Ruggeri ha saputo mettere insieme una manciata di canzoni capaci di raccontarci con tanta poesia e colori giusti l’oggi. A fianco a un cd di brani presi dal suo repertorio dei primi anni Ottanta, ricantati e riarrangiati per l’occasione, infatti, abitudine che giura d’ora in poi manterrà a ogni nuova uscita, non fosse altro che per reimpossessarsi dei master del suo repertorio, altrimenti tutto ad appannaggio delle major, Ruggeri ci propone dieci brani in cui è soprattutto l’indignazione e il disincanto per un paese che affonda la parte preponderante della poetica.
Un album prevalentemente rock, con sonorità tipicamente ruggeriane seppur con pochi slanci verso il lato più romantico del cantautore milanese. Un album che, in un mondo equo e giusto, schizzerebbe subito in testa alle classifiche. In questo non so.
Anticipato dal già citato Tre signori, brano, ricordiamolo, in cui Rouge immagina un incontro in Paradiso tra Gaber, Jannacci e Faletti, e dal nuovo singolo Centri commerciali, Pezzi di vita ci regala sicuramente alcune delle perle più splendenti di una sorprendente carriera. Qualche titolo su cui puntare? A parte i già citati singoli, sicuramente i rockettoni Fatti rispettare e Hai ragione (insolito brano punk tutto in rima stretta in “one”), e la disincantata canzone d’amore, una delle sole due canzoni d’amore presenti in tracklist, Un pezzo di vita. Ma su tutte mi sento di segnalarvi la mia preferita, Sono io quello per strada, risposta neanche troppo velata a Guarda che non sono io di Francesco De Gregori.
In questo brano, messo proprio in apertura di album, Ruggeri rivendica la sua coerenza artistica, il suo essere esattamente quello che canta le canzoni che ha scritto, quelle stesse canzoni in cui poi noi, il pubblico, ci riconosciamo, seppur nelle nostre personali interpretazioni. Perché ascoltando le sue canzoni, belle e personali, su una cosa non possiamo certo avere dubbi, Enrico Ruggeri è quello che canta, quello che scrive, quello che ce lo fa indicare come il migliore autore italiano in attività, quello per strada.