“Quello che volevo fare con questo libro di memorie è stato mostrare come nella vita ‘normale’ di una persona sia possibile fumare molto ed essere un membro produttivo della società - ha detto la 68enne al New York Times - Mi definisco una fumatrice incallita che ha vissuto una vita piena e felice. Ho cresciuto tre bambini che sono meravigliosi giovani uomini"
Cinquant’anni di canne quotidiane e non sentirli. La scrittrice statunitense Catherine Hiller, 68 anni portati da ragazzina, e una notevole somiglianza con l’attrice Illeana Douglas, è una fumatrice di marjuana probabilmente da podio del guinness dei primati. Ed in attesa che arrivi l’omologazione ufficiale, negli Stati Uniti è appena uscito il suo libro sul tema: Just say yes. A Marijuana memoir. Una carrellata à rebours sulle fumate di erba giorno dopo giorno a partire da oggi fino ad arrivare a quando era ragazzina. Nessuno si è fatto male, nessuno è andato in galera, nessuno è finito schiantato in un angolo del Bronx a bucarsi gonfio di eroina. Soltanto una “cannetta” al giorno per lustri su lustri senza mai una pausa, se non per le gravidanze vissute, relativi allattamenti e circa tre anni di pausa dopo aver conosciuto l’ultimo marito, ha spiegato la donna al New York Times. Ed oggi i denti brillano come in una pubblicità Colgate e a casa ci sono tre figlioli che sanno già far da soli, alti, belli, robusti e forse, persino, con gli occhi azzurri.
Insomma, l’erba non fa male, almeno a lei, e Catherine è lì a dimostrarlo. “Quello che volevo fare con questo libro di memorie è stato mostrare come nella vita ‘normale’ di una persona sia possibile fumare molto ed essere un membro produttivo della società. Mi definisco una fumatrice incallita che ha vissuto una vita piena e felice. Ho cresciuto tre bambini che sono meravigliosi giovani uomini. Ho scritto libri, ho avuto posti di lavoro aziendali, faccio volontariato per il mio paese e così via. Ho sentito che era il momento di farmi ascoltare da persone che come me amano fumare erba”. La vita di Catherine Hiller potrebbe oscillare tra la tradizionale iconografia hippie anni settanta e i più urbanizzati baby boomers anni ottanta. Cresciuta in una famiglia molto aperta, una coppia politicamente radicale e attiva nell’ambito dei diritti civili che si separa quando ancora lei è bambina, Catherine va a vivere con la madre a Parigi, poi da adolescente si trasferisce nell’ambiente liberal del Greenwich Village di New York, e ancora trasferimento a Brooklyn dove sfiora la periferia più cupa, infine il ritorno da adulta a Manhattan.
E in mano, tra l’indice e il medio, praticamente ogni giorno, una canna. Hiller attraversa anche la fase da regista di documentari, e non su temi da nulla: nel 1986 ancora col cognome Warnow gira “Do Not Enter: The Visa war against ideas”, dove vengono illustrati gli effetti del McCarran Walter Act (1952), cascame maccartista che ha tenuto lontano dal suolo americano parecchi intellettuali, tra cui il citato Dario Fo, o Gabriel Garcia Marquez costretto ad una deroga speciale ogni volta vicino agli States per via delle simpatie comuniste. Poi nel 1994 ecco “Paul Bowles: The Outsider Complete”, film sull’oramai ottantenne scrittore e compositore Paul Bowles, autore de Il The nel deserto da cui Bertolucci trasse un film scabrosetto, raggiunto dalla Hiller in Marocco alle prese con le fumatine quotidiane di kif.
“Quelli erano anni di divertimento, ma subito dopo il mio divorzio ho dovuto smettere e cercare un lavoro vero – ha spiegato la scrittrice/fumatrice – Il vero lavoro è stato molto diverso: vendere spazi pubblicitari per riviste mediche. Non avevo mai pensato a me stessa come venditrice, ma l’ho fatto per undici anni”. Solo che nelle pause pranzo, due ore al massimo, Catherine si esercita a scrivere. E scrive talmente bene che a metà anni duemila cominciano ad essere pubblicati alcuni suoi racconti: Cybill at burning man e Cybill in between, dove il sesso e le ammucchiate abbondano, con o senza marjuana, e con il plauso del signor John Updike; e ancora un libro con protagonista un bambino, Le avventure di Sid Sawyer; infine, l’autobiografia che viene recensita perfino sul New York Times. “I fumatori di marijuana hanno molto da imparare dai gay. Quando la gente ha cominciato a dire pubblicamente di essere gay, le leggi sono state modificate. Penso che sia importante per le persone come me di far conoscere agli altri che fumano erba”. Con il suo libro e una campagna web dove invita le persone a dichiarare le loro esperienze di fumatori la Hiller vuole andare dritto al sodo, la liberalizzazione della cannabis: “E’ difficile per le persone a cambiare la loro mente dopo tanti anni, ma basta guardare ai matrimoni tra persone dello stesso sesso: cinque anni fa niente sembrava possibile. Così se qualcuno si farà una canna per strada a breve rientrerà nella normalità e nessuno si alzerà sospettoso un sopracciglio”.