La storia inizia nel 2002, quando arrivano sul mercato i primi modelli con il blocchetto di accensione difettoso. Qualcuno, in GM, sapeva, ma non ha parlato. E mentire in America costa caro: il gruppo deve pagare una multa di 35 milioni di dollari e risarcire i danni. A oggi sono stati raggiunti 84 accordi con i parenti delle vittime, ma le richieste sono quasi 500. E 4.300 se si contano anche quelle dei feriti
Siamo a quota 84: tanti sono gli accordi raggiunti da General Motors con le famiglie delle vittime del difetto del blocchetto dell’accesione. E 93 quelli con gli infortunati. Ma è solo all’inizio: allo scadere dei termini per presentare le richieste di danni, lo scorso 31 gennaio, la GM ne ha contate 4.343, di cui 478 relative a decessi. Ma almeno questi primi 177 casi sono chiusi, perché chi accetta il risarcimento rinuncia automaticamente a ogni altra forma di azione legale. Una magra consolazione per General Motors, che potrebbe spendere oltre 600 milioni di dollari per erogare tutti i risarcimenti – ha messo in conto un milione di dollari per ogni vittima – senza contare il costo del maxi richiamo, i 35 milioni di multa comminati dalla Nhtsa e le indagini partite in 49 Stati americani, oltre a quelle del Governo federale.
All’origine del più grosso scandalo che abbia mai investito il colosso americano sta una molla difettosa da 56 centesimi di dollaro. Si trovava nel blocchetto di accensione di una decina di milioni di automobili, tutte prodotte dalla General Motors, parte delle quali devono ancora ricevere il pezzo modificato. La vicenda, venuta a galla quasi un anno e mezzo fa, ha portato all’attivazione di un maxi richiamo per il cui completamento saranno necessari almeno due anni. E ha causato l’avvicendamento ai vertici aziendali, con il nuovo amministratore delegato Mary Barra costretta a scusarsi pubblicamente (nella foto sotto, mentre testimonia al Senato) e la sforbiciata di molti dirigenti responsabili dell’accaduto.
Tutto ha inizio nel 2002, anno della commercializzazione della Chevrolet Cobalt e della Saturn Ion, cioè i primi due modelli a montare il blocchetto difettoso. La costante elastica della molla è troppo bassa e non riesce sempre a vincere il peso della chiave. Basta avere un portachiavi troppo pesante o prendere una buca, e la chiave si sposta autonomamente dalla posizione on a quella off, senza che magari il guidatore se ne accorga. A quel punto è un attimo, spariscono servosterzo e servofreno, si attiva il bloccasterzo e il controllo dell’auto è compromesso. Se tutto va bene non accade nulla e si riesce ad accostare, se tutto va male ci si può ammazzare, accettando anche l’ironia della sorte che non ha fatto intervenire l’Abs, gli airbag e gli altri dispositivi di sicurezza prima e durante l’impatto.
La cosa peggiore è che General Motors sapeva tutto già nel 2004, o almeno lo sapevano alcuni dirigenti intermedi che, a seguito di una inchiesta interna, giudicarono troppo costosa l’attivazione di un richiamo “in confronto al possibile costo delle effettive riparazioni che saranno probabilmente richieste in garanzia”. Nel 2006 arriva una molla più resistente, anche se non con i valori previsti dal capitolato originale, i responsabili fanno finta di niente e non modificano il codice identificativo del pezzo, riuscendo a eludere i controlli della Nhtsa – l’ente governativo americano per la sicurezza stradale – fino al 2010. Nel frattempo, aumentano incidenti e vittime. Nel 2014 GM si cosparge il capo di cenere, parte un’altra tornata di richiami e pure la Nhtsa viene messa sotto inchiesta e il suo capo perde il posto. Poi si iniziano a contare i danni, nasce il fondo speciale per risarcire le vittime e nel 2015 il colosso inizia a pagare – è il caso di dirlo – per i suoi errori.